Arthur Rambo – Il blogger maledetto di Laurent Cantet

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Arthur Rambo (in italiano con l’aggiunta “Il blogger maledetto”),  il nuovo film di Laurent Cantet – l’autore tra l’altro di Risorse umane (1999) o de La classe – Entre les murs (Palma d’oro a Cannes 2008) – prende lo spunto da una storia vera.

Si fa riferimento, infatti, a Mehdi Meklat, scrittore, regista, documentarista, blogger francese, nonché autore di numerosi libri su svariati argomenti, ma sostanzialmente tutti sempre molto critici verso la realtà sociale. Meklat ha raggiunto una notevole popolarità in Francia, tanto che, nel 2017 ha conquistato, assieme al suo sodale, coautore dei suoi libri e dei suoi film, Badroudine Saïd Abdallah,  la copertina di riviste come “Les Inrockuptibles” o “Telerama”.

All’apice del successo, però, vengono tirati fuori  alcuni tweet che Meklat aveva scritto molti anni prima, tutti dai contenuti violentemente razzisti, omofobi, antisemiti, misogini, anti islamici e chi più ne ha più ne metta. Tweet orribili, firmati con lo pseudonimo Marcelin Deschamps, creati per avere più follower e per scioccare il più possibile.

All’uscita di questi tweet la società francese (“Le Monde”, “Liberation” …) si è ovviamente indignata. I giornali e le case editrici hanno voluto subito marcare la loro distanza dal contenuto di quei post, lo scrittore si è scusato pubblicamente, mettendo on line patetiche giustificazioni (il personaggio non sono io ma rappresentava un essere odioso e razzista; mi scuso per l’eccesso di provocazione; le frasi non rappresentano il mio pensiero).

Le scuse, almeno all’inizio, non sono state ritenute sufficienti. Mehdi Meklat ha così pensato che sarebbe stato meglio mettere una certa distanza. È partito per il Giappone, ha pubblicato un libro di scuse (Autopsie), ha realizzato un documentario proiettato al “Cinema du Reel”, e adesso, assieme a Badroudine Saïd Abdallah è uno degli ospiti di Villa Medici a Roma.

La storia di Karim D., il protagonista del film di Cantet, Arthur Rambo, è sostanzialmente identica.

Karim viene dalla periferia, ha scritto un libro che già si preannuncia un grande successo, ma nelle ore successive ad una importante intervista alla televisione, vengono recuperati alcuni dei tweet, pubblicati da Karim quando, a sedici anni, con lo pseudonimo di Arthur Rambo (un nome che lo situa “tra la poesia classica di Rimbaud e la brutalità di Rambo”), scriveva pensieri molto volgari e offensivi, e che oggi, immediatamente, trascinano Karim dall’altare alla polvere, abbandonato da tutti, incapace di trovare una strategia che gli permetta di farsi perdonare, o di spiegare i motivi per i quali ha scritto quei tweet.

E se la soluzione a questi dubbi, Karim D. non riuscirà a trovarla, noi probabilmente possiamo tentare di leggerle tra le pieghe di questa storia.  E tra le pieghe troviamo un ragazzo che semplicemente si comporta in modo da poter piacere: all’intelligenza borghese e di sinistra scrivendo un bel libro su integrazione e periferia; ai ragazzi delle banlieue pubblicando parole sprezzanti dense di odio indiscriminato. Un ragazzo, cioè, che non solo sa scrivere le cose che i “bianchi ricchi” vogliono che vengano scritte, che racconta la periferia nel modo in cui si vuole che venga raccontata, ma che è anche in grado di parlare, con apparente sincerità, ai ragazzi della periferia, a quelli che nei post di Arthur Rambo trovano spazi di riflessione, la paranoia, le contraddizioni, la violenza che caratterizzano le loro giornate. Ma chi in realtà sia Karim D. e quale sia il suo vero pensiero, non è dato sapere (anche perché, probabilmente, un pensiero non esiste).

I libri di Karim, come i post di Rambo, sono due facce della stessa medaglia, esistono per permettere all’autore di essere accettato, di avere i like o gli inviti per le occasioni importanti. Ognuno di noi si aspetta di sentire certe cose, e Karim è in grado di raccontare quello che vogliamo ascoltare.

Ma la caduta sociale, la crisi con i ragazzi della periferia che non perdonano allo scrittore il suo volersi scusare e la gogna a cui lo sottopone la “società bene”, dimostrano l’impossibilità di essere ubiqui, di abitare contemporaneamente questi due mondi, di farli comunicare realmente. Come già Cantet ci aveva raccontato nel suo film precedente – L’atelier (2017) dove uno scrittore in erba si ritrovava emarginato perché le sue idee non erano conformi ai buoni sentimenti – Arthur Rambo mette in scena l’incomunicabilità, politica e di classe, nella quale ogni ambiente sociale ha un proprio linguaggio, un proprio immaginario, una propria voce. Rimbaud, e la poesia classica della borghesia illuminata, può usare la brutalità solo per soddisfare le proprie perversioni e trovare una giustificazione alle discriminazioni sociali. Rambo, e la periferia emarginata, usa la poesia solo per trovare le rime da sovrapporre ai propri suoni e alla propria collera.

In sala dal 28 aprile


Arthur Rambo – il blogger maledetto (Arthur Rambo)  – regia: Laurent Cantet; sceneggiatura: Laurent Cantet, Fanny Burdino, Samuel Doux; fotografia: Pierre Milon; montaggio: Mathilde Muyard; musica: Chloé; interpreti Rabah Naït Oufella, Antoine Reinartz, Sofian Khammes, Bilel Chegrani, Sarah Henochsberg, Malika Zerrouki;  produzione: Les Films De Pierre (Marie-Ange Luciani); in coproduzione con France 2 Cinéma, Memento Production, 2021, origine: France; durata: 87’; distribuzione: Kitchen Film.

 

 

 

 

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