Presentato lo scorso giugno al Tribeca Film Festival, giunge anche nelle sale italiane Carlos: il viaggio di Santana, film documentario diretto dal regista Rudy Valdez e dedicato al leggendario chitarrista messicano. Scrivere di questo lavoro significa provare a rendere al lettore le numerose e diverse possibili prospettive che offre. Prima di tutto, lo spettatore si rende subito conto che buona parte del materiale impiegato (comprese le immagini girate nel corso del tempo dallo stesso Santana, con una telecamera portatile, nel suo studio durante le pause di lavoro) fa parte di un qualcosa che può essere inteso, senza eccedere, come “storicizzato”. Ovvero, quello che Santana ha realizzato dagli anni ’60 fino a oggi è qualcosa che non solo ha segnato e influenzato in modo incisivo le diverse vie di sperimentazione che la musica e i musicisti hanno intrapreso, ma soprattutto ha a che fare con l’irripetibile, nella forma e nella sostanza, proprio in senso storico.
Non possono passare senza rinnovato stupore e senso di bellezza le immagini di e da Woodstock, a cui Santana ha partecipato da protagonista. Come ha ricordato lo stesso musicista, il problema più grande lì era domare la chitarra, il cui manico gli sembrava essere in movimento come “il corpo di un serpente”. E ci riuscì, e forse fu da un lato l’inizio ma anche la sua prima consacrazione tra i “miti d’oggi” nell’olimpo della musica rock statunitense (che a quell’epoca significava mondiale). Santana nel 1969 aveva 21anni; se si pensa per un attimo ai nostri tempi contemporanei, un ventenne di oggi che intende fare musica ha di fronte a sé uno scenario che dire altro vuol dire davvero poco. Questo è infatti pacifico. Eppure, se da un lato nel rivedere quelle immagini (e non solo) si avverte dentro qualcosa di “andato” e di “fisso” entrato ormai nell’enciclopedia globale della musica, dall’altro si presenta come un invito generoso e disinteressato, adolescente quasi, a prendere oggi la chitarra e a mettere in note il futuro, proprio come è capitato a Santana. Ma c’è un’ulteriore chiave di lettura del film che forse ci conduce ancora più in profondità e ci fa intravedere quella che si potrebbe dire “una verità superiore”. Questo documentario ci mostra quanto il rapporto col padre (artista anche lui, suonatore di violino) rispetto alla musica e quello della madre rispetto alla totalità della vita sono in realtà le due vere condizioni strutturali o, se si vuole, i due presupposti assoluti (e non più segreti grazie al film) che hanno permesso a Santana di diventare ciò che è. A proposito di questo, il film si apre con un racconto del musicista di quando aveva 5 anni. Il padre lo prende da parte, nel giardino di casa sotto a un albero, e gli fa sentire il suono delle corde del suo violino. Come d’incanto, un uccello lì su un ramo risponde a tono e così tra il suono del violino e il canto dell’animale ne viene fuori un’armonia musicale che ipnotizza il piccolo Santana. “Devi fare musica”, gli dice con tenace e severa pretesa il padre. “Se riesci ad arrivare a far gorgheggiare la voce di un uccello, allora raggiungerai con le corde il cuore delle persone”, dice il padre a Santana. E così succederà. Sono a dir poco commoventi le sequenze che quasi chiudono il documentario. Dopo il planetario successo dell’album Supernatural nel 1999 che lo rilancia a livello internazionale, Santana si ritrova col padre, anziano ormai, in un’ampia sala di uno studio di registrazione. Due musicisti, due generazioni, due strumenti, un padre e un figlio che dialogano, senza parlarsi, solo a suon di note: e sale lungo le braccia e la schiena davvero la pelle d’oca. È tutto insieme, in una concordanza forse sempre cercata e finalmente per un attimo raggiunta. Tuttavia, non è tutto in verità. Bensì è una parte, la metà di un intero (proprio come ci ha insegnato Goethe). Il resto è occupato dalla figura materna, dalla quale per inseguire il “sogno pieno” (come lo definisce Santana stesso) della musica, il giovane figlio-artista deve abbandonare a un certo punto della sua carriera. E c’è anche un aneddoto che il musicista non manca di dire. Col suo primo profitto monetario che grazie al successo raggiunto riuscì a guadagnare staccò un assegno e lo consegnò alla madre per acquistare la casa dove risiedeva e tutte le suppellettili necessarie. Un legame indissolubile quello con i suoi genitori, l’unico che è durato in modo costante nella sua vita. Come per fortuna non è durato invece quello con le sostanze stupefacenti.
E qui si tocca un altro tema ancora per niente indifferente. All’apice del successo col gruppo, “riuscivamo a fare 312 concerti l’anno”, le strade erano due: o lasciarsi consumare dalle droghe o abbandonarle, volgendo verso se stessi per aprirsi al “proprio dentro” (sempre per usare una sua espressione). Il chitarrista messicano, ormai naturalizzato statunitense, opta per la meditazione ed esce dalla dipendenza. La chitarra diventa così un’altra possibilità ancora, ovvero il mezzo per fare una specie di “ermeneutica del sé” che permetteva un mettere in comune il sé, soprattutto durante i suoi concerti dal vivo, col suo pubblico. Quello che lo spettatore vede non è solo l’evolversi della carriera di uno dei più grandi personaggi dello scenario musicale globale. Ma molto di più. È la storia della vita di un uomo diventato “tipo” non solo per e grazie alla musica, ma in particolare per quello che della vita e dalla vita è riuscito a esperire, mettendosi in gioco e condividendo con le generosità che solo la creatività artistica forse conosce.
E chissà se questo film riesce a sua volta a sfatare una nebulosa di luoghi comuni oggi intorno alla musica e stimolare un adolescente che in queste immagini in qualche modo s’intravede. E allora sia: “Tutta la vita – A far suonare un pianoforte – Lasciandoci dentro anche le dita – Su e giù o nel mezzo a una tastiera – Siamo sicuri che era musica”, come cantava Lucio Dalla. Ma sì, in fondo era musica, o la vita? Chissà davvero… “Chissà, chissà domani – Su che cosa metteremo le mani domani”…
In sala dal 25 settembre
Carlos: il viaggio di Santana; Regia: Rudy Valdez; sceneggiatura: Yuri Ancarani, Marina Valcarenghi; fotografia: Rudy Valdez; montaggio: Viridiana Lieberman; musica: Carlos Santana; interpreti: Carlos Santana (se stesso); produzione: Imagine Documentaries, Sony Music Entertainment; origine: USA, 2023; durata: 87 minuti; distribuzione: Nexo Digital.