La fiaba gotica come metafora per raccontare sgomenti e angosce che pulsano sotto la pelle, soprattutto durante la fanciullezza, quel momento della vita in cui i corpi e le emozioni ancora sono alla ricerca di una loro forma tra paura e incanto, ha spesso trovato uno spazio di immaginazione e rappresentazione nel cinema. Se oltretutto questo spazio è contaminato e dilaniato dagli orrori della guerra, introiettati emotivamente e psicologicamente come i mostri più esasperanti e distruttivi, senza contare il concreto impatto di morte e distruzione, il turbamento e l’indignazione sono amplificati perché appunto riguardano la totalità delle dimensione di ogni persona. E vedendo Darkling (onomatopeico gioco di parole tra Dark- buio e Darling-tesoro) del regista serbo Dusan Milic , il primo titolo che torna alla memoria, seppur differente dal punto di vista estetico e narrativo , è Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro, in cui una bambina affrontava le violenza sadiche della dittatura franchista incarnate da un patrigno gerarca senza etica e senza pietas come un viaggio nelle viscere a spirale della terra per risolvere una serie di iconografici enigmi ; qui lo sguardo portante del racconto è affidato sempre a una bambina, Milicia, ma siamo nel Kosovo post guerra dei Balcani, dove l’ unità militare KFOR , inviata dalla NATO per proteggere la popolazione locale dalla scontro entico tra jugoslavi e kossovari e formata in gran parte da truppe italiane, con la sua presenza quotidiana ora rassicurante ora straniante inibisce ogni possibilità di immaginare e riporta costantemente ad una grigia, dura realtà.
Non ci sono dunque il decor e l’effettistica fantasy con le creature antropomorfe di Del Toro, ma la stessa tensione e necessità di guardare oltre il clima oppressivo e soffocante di un mondo chiuso e incomprensibile per gli occhi innocenti dell’infanzia. Milicia vive letteralmente in un bosco cupo e isolato , assieme al nonno, guidato da una determinazione feroce a resistere alla minaccia della natura e alle conseguenze della guerra (oltre che, beckettianamente, aspettare il ritorno del figlio e del genero), e alla madre, più disillusa e attaccata ad una pratica, logica sopravvivenza per lei e per la figlia. Ma Milic, con una sapiente struttura concentrica, conduce con gradualità l’accerchiamento di questa triade di personaggi, mostrando in una prima parte l’esistenza di un contesto che potrebbe offrire un’apertura.
Il film si apre infatti su un’ oscurità attraversata dalla dolcezza delle parole e della voce di Milica che sta scrivendo-pensando un tema da inviare al presidente della sua nazione ( il migliore verrà letto all’ONU) per raccontare la condizione di prostrazione in cui versa il suo popolo, e l’immagine successiva è quella di una classe di bambini perduti e abbandonati, che verranno poi portati via , uno ad uno, dall’esasperazione degli adulti riflessa sui loro volti smunti e struggenti. Dopo un prologo oscillante tra il realismo e la delicatezza, con l’abbandono del territorio anche da parte dell’esercito (c’è pure il detour melò di uno scambio di sguardi tra un bel soldato interpretato da Flavio Parenti e la madre di Milicia), cala letteralmente il buio e il sogno della piccola protagonista di una spensierata corsa di libertà tra la verdeggiante distesa di piante e alberi transita nell’incubo di una selva fitta e soffocante, in cui anche un urlo rimbalza all’interno delle pareti di rami e ombre, e si fa segno-cinema di un ripiegamento, un limite, un’ interruzione.
L’ispirazione, dichiarata dallo stesso regista , è la corsa finale del tarkovskijano L’infanzia di Ivan, senza possederne ancora la capacità di fondere il sublime e l’orribile, la poesia dell’intimo e del dettaglio e la brutalità cieca e indifferente del male assoluto, ma con un mix di sentimento e suggestione che lascia una traccia. Ed è notevole l’idea del doppio suono emesso dal fischietto che i soldati lasciano alle famiglie per chiamare in caso di pericolo e che i bambini adattano per poter imitare il verso degli uccelli e comunicare in codice tra di loro, con un continuo slittamento, anche sonoro, dalla dimensione del gioco e della complicità a quella della minaccia. Quando si arriva al nocciolo, a quello che potremmo definire il grado zero della messa in scena nel rapporto tra natura e figure umane nel paesaggio ( e Figures in a Landscapes è pure il titolo originale di Caccia sadica di Joseph Losey, variazione sul tema della persecuzione e della fuga), perdiamo anche qualsiasi connotazione o riferimento, non ci sono più serbi o kossovari, ragioni o pregiudizi, occupanti e occupati, civili e militari. C’è l’ombra lunga di quel conflitto riversato ed esploso nella percezione di un ambiente domestico, familiare, accogliente nella forma di una sinfonia infernale di elementi naturali – acqua, fuoco e vento- che avvinghiano e distruggono tutto ciò che circonda Milicia e la sua famiglia , fino a farli sprofondare, nel vero senso della parola, in un sottosuolo dal quale riemergono , dopo l’ennesima variazione della michelangelesca pietà stavolta nell’ottica madre-figlia, proprio grazie alla forza del pensiero di riscatto e fiducia contenuto nel tema che la bambina stava componendo all’inizio e che chiude il cerchio, e il conto, con l’iniquità e l’oblio della Storia a cui sembravano destinate generazioni su generazioni di un intero popolo.
Non si tratta però di una tematica astratta che rimane campata per aria, perché il giovane regista, che ha formato una sua certa, evidente propensione all’horror psicologico e d’atmosfera anche sulla lezione di Roman Polanski, ne da un rilievo nei particolati che si stagliano dal contesto: un foglio strappato, un pozzo con l’acqua avvelenata, una trappola per lupi in cui resta intrappolata una gamba. Probabilmente il limite di Darkling sta proprio nel voler ambiziosamente contenere e rielaborate la varietà di suggestioni e riferimenti che porta con sé, senza fare i conti con uno sguardo ancora non completamente a fuoco, ma comunque robustamente e onestamente coinvolgente ed emozionante in più di un passaggio.
Nota a margine sul momento storico che stiamo vivendo: preferiremmo interpretare lo sguardo finale in macchina di Milicia, non tanto come un’incitazione a continuare a rispondere dente per dente invocando una protezione armata che è una contraddizione in termini, quanto un monito a non produrre più -culturalmente, socialmente e politicamente- strutture di potere che, sia per spregiudicato interesse sia per delirio di onnipotenza, schiacciano i popoli fino alla loro più pura e fragile essenza.
In sala dal 21 aprile
Darkling (Mrak) – Regia e sceneggiatura: Dusan Milic; fotografia: Kiril Prodanov; montaggio: Yannis Chalkiadakis; interpreti: Miona Ilov, Danica Curcic, Slavko Stimac, Flavio Parenti, Andrea Bosca, Nikola Rakocevic; produzione: A_Lab, Eurimages, Film Deluxe International, Filmski centar Srbije, Firefly Productions, Graal, RFF International, Space Rocket Nation, This and That Productions; origine: Serbia, Italia, Bulgaria, Danimarca, Grecia, 2022; durata: 104’; distribuzione: A_Lab in collaborazione con Lo scrittoio.