“Con profonda simpatia e sincera gratitudine”: con queste parole essenziali e oneste, diventate anche il sottotitolo del docufilm Fellini e Simenon, si conclude una lettera indirizzata da Federico Fellini al letterato belga Georges Simenon. Cosa lega, pertanto, il rinomato scrittore di gialli al grande regista visionario italiano? Il documentario, scritto e diretto da Giovanna Ventura e prodotto dalla Rai, intende infatti esplorare i lati più nascosti del regista riminese, ripercorrendo la salda amicizia trai due artisti, attraverso l’intenso carteggio scambiato dagli anni 60′ al 1989 e leggibile nell’edizione Adelphi Carissimo Simenon Mon Cher Fellini: carteggio (1998).
Proprio durante il Festival di Cannes del 1960, dove Simenon era Presieduto della giuria, che i due si conoscono. Fellini, quell’anno, risultò vincitore della Palma d’Oro, non senza polemiche, grazie al poi diventato celeberrimo La Dolce Vita. Da quel momento in poi, i due non smetteranno di avere una corposa corrispondenza fatta di uno scambio onesto di opinioni in merito ai lavori reciproci, di riflessioni sulla creazione e saluti affettuosi.
Attraverso la figura di Simenon, noto soprattutto per il personaggio di Maigret ma anche per l’innumerevole numero di romanzi, articoli e saggi prodotti dalla sua penna, anche con pseudonimi differenti e in un massimo di nove giorni, ne vien fuori un’immagine variopinta e complessa del regista ma soprattutto dell’uomo: tra visioni, dubbi, inquietudini e, in alcuni casi, vere e proprie ossessioni.
Il docufilm di Giovanna Ventura esplora, inoltre, le affinità elettive tra i due artisti, così come vengono sottolineate anche dalle riflessioni dello scrittore Valerio Magrelli. È quasi strano che un letterato come Simenon, dotato di asciuttezza ed essenzialità, abbia compreso fin da subito la grandezza del mondo felliniano, un mondo molto differente dal proprio, fatto sostanzialmente di magia e poesia. Tra le affinità che accomuna i due artisti, vi sono, invece, sicuramente l’amore per il circo, quello per il padre della psicanalisi Carl Gustav Jung, per l’immagine dell’archetipo, l’interesse per Casanova e l’anti-intellettualismo. Lo stesso Simenon, ad esempio, aveva un forte legame con la famiglia di circensi di origine italiana Fratellini.
Georges Simenon, inoltre, riconosce il fatto che l’arte contemporanea tenda non più a raccontare la storia e quindi l'”homme habillé”, bensì l’homme “tout nou” e dunque l’uomo nella sua interiorità. Federico Fellini è invece consapevole che la vita vada vissuta senza ingabbiarla in etichette, in una sorta di allegra rassegnazione che consentirebbe di abitare la realtà con naturalezza. Entrambi sono consapevoli di essere delle spugne che assorbono costantemente la realtà circostante e la restituiscono, servendosi di linguaggi differenti: quando iniziano una creazione non sanno quale cammino stanno intraprendendo.
È a partire da questo motivo che Fellini ha necessità di ricreare un’atmosfera all’inizio dei suoi film. I due autori appaiono inoltre molto affascinati dal mistero e dall’ignoto, nell’arte come nella vita. Allo stesso modo, Fellini quasi si imbarazza nel dare necessariamente spiegazioni sui suoi film, in quanto vorrebbe lasciar lo spettatore completamente libero di guardarli e magari interpretarli. Ed ecco che tra brani di film ben noti come La Dolce Vita, Otto e mezzo, Satyricon, La Città delle Donne o La Voce Della Luna, Fellini appare, grazie alla documentazione audiovisiva offerta dalle teche di Rai Cinema, in una prospettiva insolita e differente: nel pieno del suo lavoro, intento a dirigere attori, come Gigi Proietti o Roberto Benigni, e a tirar fuori sempre il massimo dalle sue visioni, servendosi del caos ma anche di una lucidità straordinaria.
Quando si tratta del momento del doppiaggio, Fellini risulta quasi insofferente rispetto a quanto gira sul set, libero di muoversi negli spazi, come quando si aggira per l’affezionatissimo Teatro 5 di Cinecittà. Da buon conoscitore della musica, tra l’altro, il docufilm fa bene a presentare anche il rapporto artistico tra Federico e il grande compositore Nino Rota, tra richieste artistiche talvolta strampalate o bizzarre che ci inducono al sorriso.
Il merito di Fellini e Simenon risiede indubbiamente nel suo grande lavoro di ricerca: le interviste, tra cui quelle straordinarie allo stesso Jung, si intrecciano sapientemente con le immagini sognanti o con le incisive parole delle lettere, dove Simenon utilizza abbondantemente il termine “stop” quasi a mo’ di intercalare, ed altre piene di affetto, stima ed assoluta speranza. Lettere scritte, talvolta, in momenti creativi non proprio semplici per Federico Fellini, ma più simili a degli spettacolari fuochi d’artificio pronti a infiammare e colorare l’anima degli spettatori.
Il film è, così, destinato a divenire un grazioso ed elegante gioiellino, capace di emozionare e far sognare ad occhi aperti. Tra le testimonianze riportate, oltre a Valerio Magrelli, ricordiamo: Carlo Verdone e Pupi Avati, e quelle d’archivio di Gigi Proietti (voce di Casanova, nel film ), Nino Rota, Ruggero Mastroianni, Peppino Rotunno e Nicola Piovani.