Ferito a morte di Roberto Andò

  • Voto
4.5

Il tentativo riuscito di raccontare la vita che succede prima ancora che diventi racconto, e la malinconia di raccontarla quando ormai lo è diventata

Così dice Domenico Starnone su Ferito a morte di Raffaele La Capria, e in un attimo non si è più soltanto in un racconto su Napoli ma in Napoli stessa. Tra Posillipo e Capri, in una città sommersa dal mare e che del movimento rallentato – nonché falso avanzamento – imposto dall’acqua sembra gloriarsi, in una Napoli fine seconda guerra mondiale e un miraggio, inglese e americano e settentrionale, che si fa sempre più importante. Ma non deve sorprendere, perché

Noi del Sud soffriamo della psicologia del miraggio, siamo sempre in attesa di qualcosa d’importante

che sia un amore, una vincita, un nuovo giocatore, una nuova epoca, oppure…

Una spigola. Lui è a un passo dal trafiggere la spigola. Lei è piena di vita, vuole averla. È però questione di un attimo e la Grande Occasione si trasforma nella Grande Occasione Mancata. La spigola diventa una donna coi capelli raccolti sulla nuca, offesa stupita incredula, e lui è senza vita, con un sorriso umiliato che copre il desiderio di morire. E le voci, quelle degli amici, famigliari, di tutti che ronzano nel chiamarlo

Massimo! Massimo! Massimo!

Undici anni di un uomo, Massimo De Luca. Dal momento in cui incontra, durante un bombardamento, Carla Boursier, fino al giorno della sua partenza per Roma nell’estate del 1954. Undici anni raccontati per spiccioli di memoria sulla scia di una Napoli in perenne mutamento frenato – costretta a modificarsi quando lei vorrebbe essere alla moda non facendo un passo – e così tra l’andirivieni del Circolo, partite di poker infinite giocate sottoterra, interminabili pranzi di famiglia, balli in terrazza, camerieri che se la fumano sulle sedie dei padroni, gite in barca verso le isole che si concludono con persone sdraiate sugli scogli, mai in sola compagnia del sole e avvolti da lamenti di piacere. E il tutto a mischiarsi, mescolarsi, ronzare, con la sensazione di essere immersi in una radio, mentre lui, Massimo, è alla perenne ricerca della sua spigola, ben sapendo che nel mare di Napoli non esistono solo pesci di piccola taglia, ma tra amici e fratelli e conoscenti, i vari Cocò, Ninì, Sasà, ci sono anche pesci pilota, e pescecani. E a quel punto il tempo è passato. Ora è tempo di muoversi dalla città freneticamente immobile a quella eterna.

Roberto Andò è ai più conosciuti per il suo lavoro da regista cinematografico, soprattutto in un’annata come la seguente durante la quale ha sfornato uno dei suoi film più interessanti, La stranezza, nel quale il grande merito – oltre a quello di aver reso personaggi, e non soltanto comici, Ficarra e Picone– è la capacità di leggere Pirandello e mettere su schermo una storia in parte originale che del premio Nobel non riscatta solo temi, personaggi, titolo etc, ma la poetica, in contenuti e forma. Quella vitalità cerebrale a lui peculiare. E questa capacità, il saper leggere il pensiero di un autore e saperlo riprodurre, è qualcosa che non verrà mai apprezzato abbastanza perché lavoro da doppiogiochista. Un adorabile tradimento, e si ricordi quale è il significato latino di tradere (consegnare qualcosa a qualcuno). Arriva così il turno per Andò di tradire Raffaele La Capria ed è un tradimento non solo adorabile, ma splendido.

La scenografia è un gioco di scatole cinesi, in questo caso alla napoletana. Suddivisa su due piani, terrazza e piano terra, si rilancia a quattro e più livelli nel momento in cui la camera di Massimo è una proiezione verso il pubblico, oltre proscenio, e altri ambienti fuoriescono da ‘cassetti’ posizionati sotto terrazza. Eppure il colpo di genio è il livello più impalpabile, che nel contempo implementa l’idea di una Napoli sott’acqua, già cucinata dall’illuminazione adottata per l’intero spettacolo: sopra la terrazza vi è uno specchio obliquo e in quello specchio obliquo noi vediamo danze, bagni di sole, fumate solitarie, discussioni, morti, tutto bagnato dalla rinsacca. Napoli e quel mare, da cui dipende e nel contempo sovrasta. Napoli e i lenti cavalloni della Storia, da cui viene condizionata e al contempo resiste strenuamente, perché la città partenopea guarda al mondo, ma soprattutto dal mondo vuole essere guardata, mentre tutto crolla. O meglio, l’acqua pian piano sale.

Tanto con il cinema, quanto con il teatro, Andò si rivela al suo meglio nel momento in cui tradisce un autore e lo traduce in un’altra forma visiva, cinema o teatro che sia. Capacità splendida quanto preziosa, il regista coglie il messaggio letterario di La Capria e lo rende un’opera teatrale avvolgente, coinvolgente. Oltre il gioco dei silenzio e delle parole nel quale Andò, autore ragionato, è solitamente immerso (si guardi la recensione de Il bambino nascosto), qui siamo nel malinconico tentativo di raccontare, e andare oltre il racconto di Napoli, ricreando un’atmosfera che è un capolavoro registico e scenico, nei ritmi suoni e luci. E così, di nuovo, si ribadisce come si è napoletani solo per ius soli, benché da questa «foresta vergine» prima o poi sia necessario fuggire perché non c’è scampo. Dopotutto

Napoli è una città che ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutte e due le cose insieme.

E un giorno Massimo dal letto si alza. Non dorme più, ma sano non lo sarà mai.

Massimo! Massimo! Massimo!

Fino al 15 gennaio al Teatro Argentina, Roma.

Dal 17 al 22 gennaio al Piccolo Teatro Strehler, Milano.


Ferito a morteregia: Roberto Andò; adattamento: Emanuele Trevi da Raffaele La Capria; scene e luci: Gianni Carluccio; costumi: Daniela Cernigliaro; video: Luca Scarzella; suono: Hubert Westkemper; coreografie: Luna Cenere; aiuto regia: Luca Bargagna; assistente alle scene: Sebastiana Di Gesù; assistente ai costumi: Pina Sorrentino; direttore di scena: Sandro Amatucci; foto: Lia Pasqualino; interpreti: Andrea Renzi, Paolo Cresta, Giovanni Ludeno, Gea Martire, Paolo Mazzarelli, Aurora Quattrocchi, Marcello Romolo, Matteo Cecchi, Clio Cipolletta, Giancarlo Cosentino, Antonio Elia, Rebecca Furfaro, Lorenzo Parrotto, Vincenzo Pasquariello, Sabatino Trombetta, Laure Valentinelli, Tim Daish; produzione: Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.

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