Le vele scarlatte di Pietro Marcello

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La prima sensazione che lascia addosso la visione de Le vele scarlatte, film francese dal punto di vista produttivo (è stato presentato in anteprima alla scorsa Quinzaine des Réalisateurs di Cannes) eppure così  aderente alla già riconoscibile, intima poetica del nostro Pietro Marcello, è  quella di un’osmosi magica e a tratti quasi imperscrutabile tra l’impronta materica, documentaristica dei filmati di repertorio della prima guerra mondiale (L’armistizio dei soldati francesi nella Baie de la Somme) e le immagini che sfumano in una dimensione progressivamente aerea, quasi astratta,  dentro una luce più vera del vero che illumina lo spazio-tempo di un altrove esistenziale, trasfigurando qualsiasi contesto storico e antropologico.

La letteratura (si tratta dell’adattamento di un racconto dello scrittore russo neoromantico Alexandr Grin) e la poesia (viene utilizzata come elemento all’interno della narrazione L’hirondelle. Ô petite hirondelle della scrittrice e intellettuale anarchica Louise Michel) sono presenti come non mai nel loro essere potenza evocativa della parola che a un certo punto  viene amplificata dalla cassa di risonanza della voce/musica (Juliette, la protagonista, canterà sui versi della Michel) e restituisce la singolarità di un’esperienza per la quale in prima istanza non si può essere che riconoscenti. All’origine, come dicevamo, c’è comunque un racconto che in qualche maniera prelude a una possibilità estetica tradotta nell’arco espressivo di più movimenti:  cosi all’inizio vediamo un uomo emergere dalle nebbie e dalle macerie di un mondo post bellico (che un po’ ricorda l’incipit di Una questione privata, ultima regia in coppia dei Fratelli Taviani, con Luca Marinelli partigiano sulle tracce della propria memoria in conflitto tra collettivo e personale ), alla ricerca di un’identità perduta e stordita dal rumore dei fucili e dei cannoni, forse ritrovata tra le spoglie abitazioni di un villaggio rurale. Quello che ritrova  è una realtà nella quale sono state le donne a pendersi cura dei luoghi, identificati in una natura verdeggiante, luminosa e rigogliosa, che contengono in sé il mistero della vita e della morte, non ci si sofferma in una descrizione che fa leva pedantemente convenzionalmente sul valore archetipico di una certa femminilità accudente e remissiva. Il tono quotidiano, da focolare domestico, è attraversato da un’ inquietudine, quasi un furore,  una tensione per affermare il proprio  posto nel mondo, attraverso un passaggio di testimone (anzi, letteralmente, di scalpello visto che parliamo di una famiglia di falegnami): da un padre, Raphael,quella corpulenta e rocciosa figura maschile che attraversava le lande desolate nelle prime sequenze, a una figlia, la Juliette concepita con un appassionato e tormentato amore giovanile ormai defunto e ritrovata già bimbetta.

Ed è in questo punto di rottura con una tradizione  e di ricostruzione di un nuovo corso che Pietro Marcello cerca e in alcuni momenti particolarmente felici trova la sintesi  di un immaginario che possiede la forza e la volontà di includere tutto quello che lo ha generato nel patrimonio comune di visioni trasmesse e assimilate (oltre al repertorio storico, inserisce estratti del film Il tempo delle tentazioni di Julien Duvivier, altra storia di resistenza e di riscatto femminili su un filo temporale sospeso tra arcaicità e modernità)  con la dimensione di percezioni individuali, cosi dichiaratamente emerse dal mare (elemento ricorrente nel suo cinema ) magnum di intersoggettività dissonanti e antagoniste. La piccola Juliette, crescendo nelle fattezze e nelle movenze aggraziate dell’inedita, radiosa interprete Juliette Jouan, afferma se stessa alzando lo sguardo al di là e al di sopra delle teste dei suoi gretti e abusanti compaesani; non si cura di chi ne stigmatizza l’attaccamento a quel padre chiuso nell’assolutismo di un lavoro di solitudine, precisione e pazienza (costruisce meravigliosi, creativi giocattoli in legno presto in disuso con l’avvento dell’ingegneria meccanica ed elettrica) o chi ne contesta il carattere fiero e indipendente. La stessa ricerca dell’amore ha a che fare con una qualità della sua essenza, non riducibile ad un fatto contingente o al soddisfacimento di una passione passeggera .

Una visione di tale profondità per la quale l’unico contro campo contemplabile  è quello del vertiginoso, infinito cielo aperto, al quale rivolgere il proprio canto, non a caso la rondine della poesia della Michel, che celebra la libertà e l’ebrezza del volo, e il relativo fondo oscuro di pericolo e imprevedibilità; e non a caso Juliette troverà in un aviatore (interpretato questa volta con un apprezzatissimo pudore contro egoico da Louis Garrel) il suo alter ego sentimentale e insieme l’opportunità per elevarsi al di sopra del limitato destino di paria e stravagante ragazzina imposto dall’arretratezza di una comunità troppo schiacciata tra frustrazioni autodistruttive e la basica necessità di fare branco contro l’inaudito suono e l’inafferrabile corpo di questa fulgida eroina neo romantica;  in qualche modo  sorella ante litteram delle determinate e idealiste figure femminili di Eric Rohmer, talmente radicate e stagliate nell’inquadratura/ paesaggio, capaci di entrare ed uscire da se stesse, senza tradire o mistificare una carnalità che non è più prigione, simulacro o feticcio, alla ricerca di un Rayon vert, il raggio verde che non è solo illusione romanzata ma la prova osservabile ad occhio nudo, il segno (in)visibile di una trasformazione, di una presa di coscienza.

In questo la protagonista del film di Marcello si impone come presenza pulsante e vitale, che crea lo spazio dell’attesa e anche quello della fiaba , di cui è l’autrice e la lucida e consapevole demiurga nel duplice, suggestivo parallelismo con il lavoro sulle immagini riproducibili e rielaborabili in una direzione, e la prospettiva di un orizzonte sempre differenti, nel riconoscimento di un’origine e nella scoperta di un’originalità. Un cinema che sovrimpressiona il presente nella dialettica con il passato e la comunicazione con il futuro, come il canto ammaliante ascoltato dalla bambina primitiva  all’interno della storia che Monica Vitti racconta al figlio nel Deserto rosso antonioniano; la terra di mezzo tra la de-saturazione cromatica di uno sguardo estirpato dal sangue di una violenza arcaica e lo scintillante technicolor di un sogno lungo 24 fotogrammi al secondo.Un attimo prima che quella magnifica ossessione si trasformi in divorante nevrosi.

In sala dal 12 gennaio 2023


Le vele scarlatte (L’envol); regia: Pietro Marcello; sceneggiatura: Pietro Marcello, Maurizio Braucci, Maud Ameline; fotografia: Marco Graziaplena; montaggio: Carole Le Page, Andrea Maguolo; musica: Gabriel Yared; scenografia: Christian Marti; costumi: Pascaline Chavanne;  interpreti: Juliette Jouan (Juliette) Raphaël Thiery (Raphaël), Noémie Lvovsky (Adeline), Louis Garrel (Jean), Yolande Moreau (la Maga), Ernst Umhauer (Renaud), François Négret; produzione: CG Cinéma, Avventurosa con Rai Cinema in co-produzione con Match Factory Production, Arte France Cinéma, ZDF con la partecipazione d’ARTE, Les Films du Losange; origine: Francia/Italia/ Germania, 2022; durata: 100’; distribuzione: 01 Distribution.

 

 

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