Già presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival di quest’anno e primo lungometraggio della giovane regista kosovara Blerta Basholli, Hive (in originale Zgjoi) è prima di tutto un film che parla di coraggio e di determinazione.
Basato su una vicenda realmente accaduta, racconta di Fahrije (Yllka Gashi, molto intensa nel suo ruolo), che, assieme a molte altre donne del suo villaggio, ha perso presumibilmente il marito in un massacro durante la guerra del Kosovo nel 1999.
La protagonista, malinconica ma al tempo stesso con uno sguardo molto fiero, vive una vita molto modesta, assieme al suocero e ai due figli ma cerca di rimboccarsi le maniche e di fare il possibile per sostenere la famiglia: si occupa con impegno e dedizione delle api del marito scomparso Agim ed è una delle poche donne che lavorano in quelle zone rurali caratterizzate da un contesto generale di profonda arretratezza e maschilismo.
Il contesto di riferimento è infatti un microcosmo contadino profondamente segnato da da chiusure mentali e miseria materiale: nel villaggio di Krushë molte donne, precedentemente succubi e dipendenti psicologicamente e materialmente dai loro mariti -che ora hanno perso in guerra – sono rimaste sole, e dopo un’iniziale paura, dovuta proprio al pregiudizio delle “chiacchiere” degli abitanti del villaggio, si fanno guidare da Fahrije, che ribalta la situazione creando una piccola azienda agricola, cogliendo i frutti della sua stessa terra e coltivando quel legame speciale con le radici e con il lavoro a cui teneva tanto suo uomo.
Seguendo questo solco già tracciato, Fahrije, farà molto di più: non solo continuerà a portare avanti il legame con la sua terra, ma andrà oltre, prospettando un futuro possibile per se stessa e per tutte le donne rimaste sole spezzando, quindi, la rigida catena della chiusura e del pregiudizio con la fatica e i frutti del lavoro.
E non agirà con clamore o con rabbia (quella c’è ma viene repressa), ma con determinazione, con orgoglio e con meticolosità: Fahrije, infatti, non ha intenzione di rompere con la tradizione della sua terra e le splendide scene al femminile della preparazione dell’ajvar (la celebre salsa composta principalmente da peperoni, peperoncini, melanzane e aglio) lo mostrano molto bene. Cercherà solo di trovare nella terra e nei suoi frutti quel legame intimo capace di consentirle una vita migliore, ma lo troverà a modo suo.
Hive ha il significato di alveare, e l’alveare è soprattutto la comunità delle donne del villaggio che a casa di Fahrije pazientemente costruiscono, si adoperano e infine raccolgono i frutti della loro fatica.
Le scene collettive di preparazione del composto di peperoni sono le più apprezzabili, quelle più piacevoli e spensierate, in netto contrasto con l’atteggiamento e l’espressioni degli uomini del villaggio, che vengono ritratti come duri, ruvidi, poco disposti al dialogo e all’apertura.
L’interpretazione della protagonista è misurata, mai esasperata e riesce a regalarci una profonda intensità, anche nei rari momenti di solitudine (sotto la doccia o davanti allo specchio, ad esempio, o quando è intenta a curarsi le punture delle api).
Altro film tutto al femminile come il palestinese Fahra (https://close-up.info/4211-2/) o l’indonesiano Yuni, Hive ha il pregio di non scadere mai nella retorica della solita storia del “successo” delle donne – anche se poi in fondo ne è un esempio, non parla solo di riscatto ma è anche e soprattutto la storia dell’amore e della fierezza per le proprie radici e l’orgoglio della protagonista sta proprio in questo aspetto: Fahrije e le altre lottano per trovare il loro personale modo di vivere, partendo sempre dall’amore per la loro terra e gettando le basi per una possibile futuro
Così l’opera di debutto di Blerta Basholli è, dunque, un film che, partendo da una situazione di distruzione , lutto e perdita, guarda al futuro cercando una linea di continuità con la tradizione e coltivando una speranza anche per le generazioni più giovani.