Il discorso perfetto di Laurent Tirard

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Vedendo Il discorso perfetto di Laurent Tirard (tratto dal romanzo di Fabrice Caro), vengono in mente quanti epigoni sgraziati abbia partorito Il magnifico mondo di Amélie Poulain  (Jean-Pierre Jeunet, 2001) in una ventina d’anni. Aggraziata, originale, zeppa di idee visive, la pellicola di Jeunet ha dato la stura a decine, se non centinaia chissà, di tentativi maldestri di avvicinarsi alla felice commedia riuscita che, modificando alcune regole di intrattenimento e di sospensione dell’incredulità, ha avuto il pregio di una sceneggiatura impeccabile alle spalle, attori superbi, regia degna di questo nome ( e sono pregi visibili anche a coloro che non apprezzano il genere).

Non è possibile impostare il meccanismo della storia solo sull’attesa di un messaggio di testo al cellulare. Non è possibile pensare di svolgere l’intero arco narrativo chiusi dentro un interno di una casa (è cinema o teatro?). Non è possibile ridere per un numero x di versioni possibili del discorso che l’innamorato disperato dovrà fare al matrimonio della sorella (ed emozionarsi anche alla versione finale, l’unica reale e non immaginata, quando la storia è andata a finire bene). Non è possibile tirare per novanta e più minuti una voce fuori campo a condurre lo spettatore attraverso le traversie amorose del protagonista.

Adrien (Benjamin Lavernhe) ama Sonia (Sara Giraudeau) che ha incontrato a una festa di carnevale dove lui era vestito da Freddy Krueger (Nightmare, Wes Craven, 1984) con delle lame che escono dalle nocche delle mani; ama Sonia per la quale, al primo appuntamento, aveva stilato una lista di argomenti di conversazione nel caso non avessero trovato nulla da dirsi; ama Sonia che gli propone un gioco in cui se il bambino al parco cade dalla bici, il loro amore durerà per sempre (all’ultimo, ovviamente, il bambino cade); ama Sonia che lo ha messo in “pausa” da trentotto giorni senza dare notizia di sé.

Non bastano le pareti intorno che diventano celle per interpreti (perché i commensali parlano lingue “diverse”) o i fermo immagine o gli sguardi in camera apostrofando lo spettatore in prima persona o i flashback o le torte che cambiano e, poiché sono tutti simboli, mandano in confusione sul da farsi Adrien: non bastano questi espedienti a non provare claustrofobia per quell’assetto fermo e fintamente denso, a non sentire il bisogno di un cielo in più, a resistere alla tentazione di guardare l’orologio.

Alla tavola familiare gli interpreti sono in parte: la madre (Guilaine Londez) affettuosa casalinga, il padre (François Morel) raccontatore di aneddoti sempre uguali, Sophie (Julia Piaton), la sorella con cui Adrien non è più così in contatto (chissà perché), Ludo (Kyan Khojandi), il futuro cognato, pedante scienziato, che lo tira in mezzo con la proposta del discorso. Recitano in maniera convenzionale personaggi banali e superficiali, senza spessore né anima, messi in mezzo a gag prevedibili a favore di Lavernhe che ne dovrebbe uscire il più fico di tutti (e ciò non accade).

In sala dal 10 febbraio


Il discorso perfetto  – Regia: Laurent Tirard; sceneggiatura: Laurent Tirard; fotografia: Emmanuel Soyer; montaggio: Valérie Deseine; musica: Mathieu Lamboley; interpreti: Benjamin Lavernhe, Sara Giraudeau, Kyan Khojandi, Julia Piaton, François Morel, Guilaine Londez, Alexandre Picot, Jean-Michel Lami; produzione: Les films sur Mesure; origine: Francia, 2020; durata: 87’; distribuzione: I Wonder Pictures.

 

 

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