Il patto del silenzio – Playground di Laura Wandel

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Per chi non lo sapesse, nel 2017 è uscito un bel film di Sean Baker, icona del cinema indipendente americano già conosciuto per Tangerine (2015) e tornato alla ribalta proprio due anni fa con Red Rocket (2021). Dunque, il film si chiama Florida Project (in italiano tradotto malamente come Un sogno chiamato Florida), e segue le avventure di tre ragazzini dispersi ai margini del leggendario Walt Disney World, la patinata utopia che il Signor Disney in persona allestì nei pressi di Orlando. Baker racconta l’infanzia travagliata dei motel, alle periferie del mito made in USA e al centro di una spirale tossica fatta di solitudine, miseria e violenza. Ciò che rende la pellicola interessante è la prospettiva su cui essa si muove – ovvero, quella del fanciullo: la cinepresa si muove in basso, perpendicolarmente ad un mondo adulto incomprensibile e brutale, verniciando l’angoscia di un bel rosso magenta e cercando disperatamente la bellezza là dove sembrano accumularsi soltanto rifiuti.

Questo lungo preambolo è, in realtà, un ricordo: fin alla prima inquadratura, infatti, il lungometraggio della regista belga Laura Wandel sembra richiamare gli incubi infantili di Sean Baker, tracciando le coordinate di un universo in miniatura, fragile e precario come quello di una formichina. I due protagonisti sono Abel e la sorellina Nora (qui interpretati dagli straordinari Günter Duret e Maya Vanderbeque), due bambini come tanti altri giunti al loro primo giorno di scuola. Abel, più grande di un anno o due, pare già edotto alle leggi della giungla che regolano la quotidianità delle aule, dei corridoi affollati in cui quasi non si respira, del cortile tutto asfalto e spintoni in cui si consuma il cosiddetto “intervallo”. Nora, invece, è spaventata: la piccola non conosce nessuno, e non si fida degli insegnanti. Viene portata via in lacrime e condotta in una classe piena di estranei che le chiedono di giocare, le chiedono di leggere strane frasi ad alta voce, le chiedono il suo nome. Viene fatta sedere lontana dal fratello, unico volto noto in un oceano di sconosciuti. Questo, Nora non lo accetta, e trasgredisce al regolamento che la vorrebbe già scaltra, perspicace, indipendente. Il suo atto di ribellione darà il via ad un effetto domino del tutto inaspettato – o forse no?
Di nuovo, ciò che rende la vicenda indimenticabile non è la vicenda in sé, quanto l’angolazione in cui essa si svolge: come già in Florida Project, l’obiettivo rimane ancorato all’occhio della ragazzina, adottandone gli stati d’animo e deformando la realtà esterna attraverso la lente dell’interiorità. Lo sguardo di Wandel-Nora, tuttavia, è più cupo, più sofferente, più cagionevole: Il Playground nel quale si dipana l’ordinaria routine dei due fanciulli non ha niente a che vedere con la Disneyland rosso-rosata (e un po’ decadente) di Baker. Il titolo originale del film, uscito a Cannes 2021 nella sezione Un Certain Regard e solo ora approdato in Italia, è Un monde, e non lascia spazio a sottotesti: il “cortile per ricreazioni” citato nel titolo internazionale inglese equivale, per i protagonisti, ad un mondo intero. E in questo mondo rimaniamo anche noi, impossibilitati ad alzare lo sguardo verso i più grandi, verso gli stessi coetanei, verso un macrocosmo ancora ignoto e dai contorni apparentemente sconfinati.

Nora, dunque, vaga nel suo limbo (e noi con lei), assistendo alle persecuzioni che il fratello subisce per averla difesa dai ragazzi dell’ultimo anno. Ancora una volta, la violenza è normalizzata, essa fa parte delle nostre vite e dobbiamo conviverci fin dalla più tenera età. Nora tenta di ribellarsi, parlando col padre e con gli educatori, ma ci vuole ben altro: la situazione peggiora, e la bambina viene risucchiata in un buco nero di omertà, inquietudine e terrore. Questa sensazione di costante pericolo non ci abbandona nemmeno per un secondo, anzi, ci perseguita per l’intero lungometraggio, aprendoci un varco non tanto sulla vita di Nora, quanto sulla vita di Abel fotografata da Nora: vediamo Abel inseguito nei bagni, Abel percosso in un angolo, Abel gettato in un cassonetto. E abbiamo paura. Nessuno sa cosa fare – né la sorella, né tantomeno gli adulti sono in grado di trovare una soluzione, ognuno rimane paralizzato in un vortice di domande e risposte che non hanno alcun senso: perché lo fai, perché non reagisci, perché non mi racconti cos’è successo, e così via fino al laconico quanto inevitabile “non lo so”.

Negli ultimi trenta minuti, Wandel ci mostra quanto possa essere labile il confine fra vittima e carnefice, ma anche fra amore e odio. Per non soffrire più, Nora si allontana dal fratello, si isola dalle compagne che lo prendono in giro, grida contro l’insegnante, rifiuta l’affetto paterno. Abel, per suo conto, trova un altro Abel con cui prendersela: non è vero che il dolore rende migliori. Ciò che è stato ricevuto deve essere restituito, non importa a chi. Anche qui, come nell’assolata Orlando di Baker, i giovani protagonisti si ritirano in un’altra dimensione – lontano dal parco-giochi della scuola elementare, lontano dai genitori disfunzionali sepolti fra le mura di un motel. Ciò che rimane, in entrambi i film, è l’infanzia, e il desiderio di fuggire lontano, verso un’isola felice in cui poter essere ancora bambini.

In sala dal 2 marzo 2023


Cast & Credits

Il patto del silenzio – Playground  (Un monde); Regia: Laura Wandel; sceneggiatura: Laura Wandel; fotografia: Frédéric Noirhomme; montaggio: Nicolas Rumpl; interpreti: Maya Vanderbeque (Nora), Günter Duret (Abel), Karim Leklou (Finnigan), Laura Verlinden (Agnes), Thao Maerten (David), Lena Girard Voss (Clémence), Laurent Capelluto (padre di Antoine); produzione: Dragons Films, Lunanime, Wallimage; origine: Belgio 2021; durata: 72’; distribuzione: Wanted Cinema.

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