Ci deve essere qualcosa di particolare nella mente umana, o perlomeno curioso, se la nave più famosa di tutti i tempi è quella che sta sul fondo dell’oceano. Il Titanic ci ha messo due ore e quaranta a sbattere contro un iceberg, andare sott’acqua per metà, spezzarsi e infine affondare. A fronte di tutto questo tempo, da poterci fare un melodramma facile facile, o alla meglio un film, lo stesso Titanic ha impiegato più o meno 5 o al massimo 10 minuti per toccare il fondo sabbioso. Se tutto ciò suggerisce un non so che di sbilanciato, forsanche ingiusto, correlarlo al corpo e mente umana può renderlo invece fisiologicamente più accettabile: l’affondamento di un uomo ha bisogno del suo tempo. Fisico e mentale che sia. Oltre quel tempo, quando si è ormai sotto il pelo dell’acqua, c’è velocità al quadrato, veloce veloce veloce, a correre verso il fondo. Perciò sta tutto lì, nell’affondamento. Nell’istante in cui si passa sott’acqua. E bisogna saperlo mettere in scena, come in Illusioni di Fabio Omodei.
Un uomo stava su una barca, al lago, e si risveglia in una bara. Non ci sta stretto, anzi, non è neppure solo. Accanto, attorno a lui c’è la donna della sua vita. Quella che stava con lui sulla barca e che gli aveva appena comunicato di aspettare una bambina che non sarebbe nata sana e che comunque lei l’avrebbe tenuto. I due tuttavia non sono soli perché accanto a loro c’è… ancora lei. E accanto a loro due e un’altra lei, ecco che c’è un’altra lei. E così via fino ad arrivare a sette lei e un lui. Perché? Perché la nostra mente ha le caratteristiche dello specchio e quando la superficie s’infrange, ecco che si moltiplica e l’effetto può essere tanto bello quanto sinistro. Terribile. Persecutorio.
Trascinato in un gorgo frenetico da loro, lui va sempre più giù: il suo corpo è vittima dei balli delle illusioni, manca il fiato e la mente è sempre più stanca. È discesa verso gli inferi, ma è anche stasi, a volte persino risalita: le immagini di una vita d’amore prendono il posto che gli spetta, il primo, e ombre di pavoni e farfalle risalgono dallo stomaco e riempiono la mente. Dopotutto la corda non si tira in un colpo solo, ma a strattoni, alternando la risalita e la sosta. Non la corda di un condannato a morte, ma quella lanciata a un naufrago.
La compagnia Sofia Amendolea riporta Illusioni a Roma, al Teatro dei Documenti. Spettacolo nato in lingua inglese, selezionato in oltre venti Festival tutto il mondo, torna ora nella Capitale a due anni dal debutto al Teatro India. Si presenta come uno spettacolo rapido, travolgente, affamato, e soprattutto “teatrale” nella sua capacità di sfruttare il poco e l’artigianale per creare il tanto e lo spettacolare. Alternando poetiche ombre cinesi su schermo bianco e frenetici movimenti corali in scena, lo spettacolo dosa bene i tempi e sa cogliere un ritmo che dà così sostanza e godimento a una storia in sé semplice.
I gesti delle molte lei sono coreograficamente pregni e il riflesso che se ne ha sul di Lui ha una coerenza che permette, tanto al suo protagonista che allo spettatore, di non avere tregua dall’inizio alla fine: quello che ci si trova davanti è uno spettacolo musicale di sorrisi dannati e sinistri ma con un sotto testo di salvezza. Un musical tarantolato (a tratti diabolico). Perché i momenti e i movimenti, non solo quelli scenici ma pure di narrazione, sono fertili quando controversi, nel senso più letterario della parola: l’uno andante in un verso, l’altro nell’altro. Mentre un terzo, rapido rapido, è di immobilità apparente. Discesa verso gli inferi, risalita e infine limbo. Bisogna saperli giostrare e farli vivere là, sul palcoscenico.
Illusioni di Fabio Omodei è uno spettacolo valido e… teatrale. Fuori dal lapalissiano, questo è uno spettacolo che sa come la parola nel teatro sia importante quanto il movimento e che il movimento può essere nudo, ricreato da ombre, corale quanto singolo. E che altrettanto bene sa come il corale agisca ferocemente sul singolo per far sì che dal movimento si arrivi alla scena e che la scena abbia una sua forza interna e una forza di legame con la precedente, la successiva e quella che viene dopo o prima ancora. Senza, appunto dimenticare il ritmo. Un lavoro che sfrutta appieno la propria natura teatrale, appunto. Per raccontare, di nuovo e ancora, come l’affondamento comporti corpi a faccia in giù, ma anche corpi ripescati tra fischi e scialuppe. E come le illusioni possano essere un peso della mente, benché , una volta sciolte, il peso possa ricadere da un’altra parte. Sull’intero corpo, come una bara, oppure tra le braccia, sotto forma di altro.
Al Teatro dei Documenti, Roma, 19-20 novembre ore 20.30
Illusion – Regia: Fabio Omodei; costumi e scenografia: Monica Raponi; coreografia: Fabio Omodei; vocal coach: Valeria Fiore; luci e suono: omofax; interpreti: Sophia Angelozzi, Ilaria Arcangeli, Giulia Balbi, Gabriele Giusti, Lucrezia Lupo Guaita, Federica Prencipe, Luisa Rolli, Silvia Violante.