La Signora Harris va a Parigi di Anthony Fabian

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C’è un bel film del 2008 che si chiama Un giorno di gloria per Miss Pettigrew e che narra il cosiddetto coming-of-age di un’ingiallita governante inglese ormai rassegnata all’invisibilità. Tratto dall’omonimo romanzo di Winifred Watson (Anno Domini 1938), il lungometraggio ci apre una finestra sulla miseria e sulla sporcizia che dietro ogni società del benessere si nascondono: Guinevere Pettigrew, figlia di un vicario, domestica di mezz’età dall’aspetto segaligno e grigiastro, è la classica polvere sotto il tappeto – ovvero, l’immagine di un’Inghilterra ancora profondamente devastata dalle sue ferite di guerra, dalla fame e dal terrore, dal ricordo della maschera antigas e dalle bottiglie di champagne con cui si tenta di deglutire e assimilare ogni lutto. All’alba del secondo conflitto mondiale, Miss Pettigrew sogna come può, o meglio, nei modi e nei tempi che il suo inguaribile pragmatismo le concede. E chi sa che dietro l’angolo non si nascondano le seguenti pedine, nell’ordine: Delisya (un nome che è già un programma), aspirante attrice dall’animo più bohemien di quanto non sembri. Michael, pianista disperato e amante infelice di professione. Edythe Dubarry, l’arrivista dell’alta moda. L’ultima carta – nonché il jolly – del mazzo sarà proprio Joe Blomfeld, celebre stilista di lingerie femminile giunto ormai sulla soglia della cinquantina, principe azzurro dallo spirito aristocratico e dal fascino proibito (specialmente per la ligia Guinevere).

Ora, prendete il giorno di gloria vissuto dalla nostra simpatica Tata Matilda e trasportatelo nella Londra anni ’50, anzi, nell’Europa anni ’50. Stiamo parlando, signore e signori, di una parentesi spaziotemporale sospesa fra le vecchie sale da valzer e lo swing, fra le enormi magioni della decadente High Society e le strade in cui si discute di politica, fra il ricordo ingombrante delle bombe e i grandi magazzini in cui stordirsi fino all’apatia. Anno Domini 1957: tutto è già successo, tutto è ancora possibile.

Nell’ubriacatura generale, nell’entropia postbellica del rock’n’roll e delle corse canine, Miss Pettigrew (allora interpretata dall’algida Frances McDormand) cambia nome e si trasforma in Mrs. Harris, Ada per gli amici (qui una tenera e un po’ stucchevole Lesley Manville). Ada, a differenza di Guinevere, ha perso il marito nel 1944. Eppure, come una Delisya qualsiasi, la donna si rifiuta di prendere contatto con la realtà, di affrontare la morte del compagno, di guardare negli occhi il Moloch sociale che condanna i suoi sudditi per poi stordirli a ritmo di Blues e di fantasticherie a buon mercato. Molto meglio credere nelle favole, nel mito di Cenerentola che diventa regina, nel twist e nei 45 giri che sovrastano ogni disgrazia, nell’abito magico che potrebbe cancellare le brutture della Storia. È proprio di quest’abito, e non di un uomo, che la signora Harris s’innamora perdutamente: rinvenuto per caso nell’armadio di una ricca cliente, il vestito ammalia e seduce la protagonista, le promette un domani sfavillante, la riempie di desideri segreti come fa il genio della lampada col giovane Aladino.

Graziata dalla sorte, Ada si mette in viaggio per Parigi, decisa a conquistarsi la sua porzione di sogno. Una serie di fortunati eventi la trasporta lontano dalla guerra, dalla propria nazione, dai pub e dall’inguaribile pragmatismo di Miss Pettigrew (un’eredità, fra l’altro, quasi interamente britannica). I soldi iniziano a piovere dal cielo, il denaro riempie il vuoto lasciato dal decennio precedente: spinta da una forza superiore chiamata Destino o Pecunia, Mrs. Harris si ritrova davanti all’atelier forse più famoso del pianeta terra. Sì, stiamo parlando della Maison Dior. Nella quale si agitano le seguenti pedine, nell’ordine: Natasha (Alba Baptista), malinconica Top Model dotata di un’insana passione per Sartre e di un animo più bohemien di quanto non sembri. André (Lucas Bravo), manager un po’ impacciato e amante infelice di professione. Segue un marchese giunto ormai sulla soglia della cinquantina, vedovo dallo spirito aristocratico e dal fascino proibito. A chiudere il mazzo, questa volta, sarà la meravigliosa Isabelle Huppert, qui nei panni di Edythe Dubarr… scusate, di Claudine Colbert, braccio destro del Signor Dior e Iron Lady dell’alta moda. Nella pellicola di Anthony Fabian i déjà-vu si sprecano, e va bene così.

In effetti, La signora Harris va a Parigi non è che il remake ingenuo e un po’ sbiadito di Miss Pettigrew: un calco quasi perfetto a cui il regista aggiunge qualche sfumatura rosata, qualche incantesimo, qualche genio della lampada e via dicendo, senza però sfociare in stereotipi dolciastri e potenzialmente indigesti. Nel gergo della temuta e riverita Haute Couture, si potrebbe definire il film come la riproduzione su misura di un capo esclusivo. Seguendo le orme di Guinevere, anche Ada rinuncia al dono dell’invisibilità per tramutarsi nell’eroina di una bella fiaba, di un mito moderno o dell’eterno racconto per ragazzi che l’umanità degli anni ’50 narra a sé stessa. Consigliamo di accompagnare la visione con una flûte di champagne… e con quel sorriso dal retrogusto amaro che governanti inglesi, donne in carriera, marchesi decaduti, allegre costumiste e artisti più o meno falliti hanno ormai imparato ad indossare.

In sala dal 17 novembre 


Cast & Credits

La signora Harris va a Parigi (Mrs. Harris Goes to Paris) Regia: Anthony Fabian; sceneggiatura: Carroll Cartwright, Anthony Fabian, Keith Thompson, Olivia Hetreed; fotografia: Felix Wiedemann; montaggio: Barney Pilling; interpreti: Lesley Manville (Ada Harris), Isabelle Huppert (Claudine Colbert), Jason Isaacs (Archie), Lambert Wilson (Marchese de Chassagne), Alba Baptista (Natasha), Lucas Bravo (André Fauvel), Ellen Thomas (Vi Butterfield), Anna Chancellor (Lady Dant), Rose Williams (Pamela Penrose), Roxane Duran (Marguerite), Christian McKay (Giles Newcombe), Guilaine Londez (Madame Avallon); produzione: Entertainment One, Superbe Films, Moonriver Content, Hero Squared; origine: Canada/USA 2022; durata: 116’; distribuzione: Universal Pictures.

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