Le briciole dell’arte, e poco più: Glory Wall di Leonardo Manzan e Rocco Placidi

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“Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista”

PPP

Miglior spettacolo della Biennale Teatro di Venezia 2020, Glory Wall è uno spettacolo sulla censura. Ma uno spettacolo sulla censura non censurato si può definire uno spettacolo sulla censura? E uno spettacolo sulla censura che venga giustamente censurato per tenere fede al suo essere uno spettacolo sulla censura, può essere uno spettacolo sulla censura? Perché quello che rimane è il non censurato, e quindi il non censurato non può comporre, a rigor di logica, uno spettacolo, men che meno uno spettacolo sulla censura. Ma di ciò che viene censurato, insomma, non se ne può far poi tanto…insomma, è stato censurato. Cancellato. Out.

Va be’, ma allora che si fa? Boh, si metta in scena uno spettacolo qualsiasi, boh, tipo Casa di bambola di Henrik Ibsen, tanto uno vale l’altro a questo punto. Protagonista? La quarta parete. Obbiettivo? Cercare di capire se uno spettacolo sulla censura si possa fare, non solo se in sé sia possibile, ma se sia attuabile al giorno d’oggi. Perché? Perché per censurare qualcosa c’è bisogno di un elemento fondamentale: qualcuno che si scandalizzi. E l’arte, il teatro può ancora scandalizzare? Ai presenti larga sentenza.

Davanti un lungo e solido muro bianco, un buco e una bocca. L’invito alla quarta parete, noi, il pubblico, di riempirla. È un Glory Hole. Lo spettacolo potrebbe già terminare, ma nessuno dei presenti si alza. Di scandalizzarsi, be’, neppure se ne parla. Allora la bocca parla e altri buchi si aprono: appaiono mani, occhi, orecchie. Si discute finché non si giunge alla più semplice conclusione: nulla, il Glory Hole non attira, meglio trasformarlo in un Glory Wall. Forse qualche intrepido in platea si sentirà chiamato in causa.

Ancora nessuno, e allora si deve chiamare per accendere una sigaretta e uno spettatore, dagli e ridargli, si deve pur alzare. È tutto sommato improbabile che tra noi, in un’intera platea, nessuno fumi. Ipocriti o timidi sì, ma c’è un limite a tutto. Similmente, è difficile che nessuno si alzi per aiutare a prendere dei libri lanciati in proscenio, soprattutto se due mani guantate di rosso mimano ad attirarti a sé con una corda immaginaria. Similmente, ancora, è difficile che neppure una persona dei presenti parli se un fascio di luce ti investe e ti invita a leggere le battute dattilografate sul muro: nasce così un siparietto d’ispirazione dantesca con protagonisti loro (PPP, GD, DS), i censurati peggiori, coloro che il mondo ha pensato bene di buttare in prigione, mettere al rogo o estromettere dalla società.

Sceneggiato in modo intelligente e amaro, Glory Wall affronta un tema difficilissimo perché dato spesso per scontato al giorno d’oggi. Se non si è capito, è la censura. Il fallimento era dietro l’angolo, dopotutto scontatezza chiama ovvietà, e lanciarsi in una dimensione meta risulta allora efficace perché non si affronti in modo cieco un tema che è tanto generale quanto scivoloso. Si salta di livello, ma si restringe anche il campo: non censura a ogni livello, ma censura nell’arte. Seconda carta vincente è la scelta di non volare troppo lontano dal pubblico meno esperto, cercare quindi di mantenersi sul lato leggero che intrattiene chiunque e al contempo riporta in quella dimensione pop e di massa che tutto fa brodo, tutto rende inoffensivo, vita e arte. Un mondo soft, un mondo di gommapiuma a prova di offesa. Perché dopotutto essere scandalizzati è proprio questo: un privilegio. Qualcuno stai disturbando perché qualcuno, ancora, ti ascolta.

E invece no. Nemmeno il siparietto di funziona. Poco male, si finisce tutti a cantare: Felicità! come Albano. Facce felici e bocche che si muovono. Ma nel riso generale, pian piano, un dubbio si fa strada: si ride del tipo accanto e si ride di tutti coloro che sono lì, seduti. Il dubbio, quel dubbio, serpeggia sempre più per tutta la platea. Lo capisci dagli occhi delle persone, dalle facce sorridenti, chiunque se lo sta chiedendo: siamo solo i protagonisti o anche le vittime di questo spettacolo? Ridiamo di tutti e stiamo ridendo pure di noi stessi. Forse, forse ci stanno prendendo in giro. È uno scrupolo crescente, e la risposta arriva alla fine, quando il Glory Wall torna Glory Hole per l’intervista finale, una particolare intervista al regista o a una parte dello stesso. Alla cui vista, ovviamente, nessuno batte ancora ciglio.

L’intervistatrice, mano armata di microfono, incalza il ‘regista’: ma questo è stato veramente uno spettacolo sulla censura? Il ‘regista’, o chi/cosa per lui, risponde: boh, sì, forse, l’intervistatrice crede che sia facile fare uno spettacolo sulla censura senza essere censurati? E nel caso si venga censurati, be’, che rimane dello spettacolo sulla censura? Non lo sa, in fondo ciò che la Biennale di Venezia gli ha chiesto è stato di fare uno spettacolo sulla censura e lui quello doveva fare, ma c’era pur sempre un grande problema a valle: per fare uno spettacolo sulla censura, e pensare di poter essere censurati – almeno averne le tiepida possibilità – bisogna scandalizzare. E chi si scandalizza più? Io, lei? Voi? Tu? Seduto in prima fila, privilegiato, o tu seduto in ultima, meno privilegiato? No, non ti scandalizzerai mai. Posso fare qualsiasi cosa, pure questa. E lo fa.

Quello dovrebbe essere un atto estremo, produrre almeno un gridolino, ma ancora nessuno dice nulla. Già. E la verità è presto confessata. Ormai il teatro, e l’arte in toto, non ha legame alcuno con il potere e il can che non morde, e al cui abbaiare pure si sorride piacevolmente, non interessa a nessuno. No, non c’è più, non abbiamo più il privilegio di essere scandalizzati. Il regista, o cosa per lui, se ne va, rimane solo un muro lungo cui corrono i nomi di coloro che hanno avuto il privilegio di scandalizzare e di avere un pubblico che si scandalizzava (Pasolini Kafka Giordano Bruno Miller etc etc), ma a noi, pubblico, oltre a quei nomi, non rimane molto. Le briciole di un atto sacro chiamato arte, e poco più.

Poco male! Divertiamoci e cantiamo: Felicità! E tenersi per mano, andare lontano, la felicità! E il tuo sguardo innocente in mezzo alla gente…

Dal 10 al 15 maggio al Teatro Vascello di Roma


Glory Wall di Leonardo Manzan e Rocco Placidi; regia: Leonardo Manzan; scenografie: Giuseppe Stellato; light designer: Paride Donatelli; sound designer: Paride Donatelli; interpreti: Paola Giannini, Giulia Mancini, Alessandro Bay Rossi, Leonardo Marzan, Rocco Placidi; produzione: La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Elledieffe.

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