Immagino che non pochi cinefili ricorderanno Signore & Signori (1966) di Pietro Germi, uno dei must assoluti della commedia all’italiana che metteva alla berlina in modo esemplare il falso perbenismo della provincia italiana. Il film era ambientato in un’imprecisata cittadina veneta, che nell’insegna del giornale locale veniva indicata come Rezega, ma ben riconoscibile dagli esterni era Treviso a partire dalla Piazza dei Signori e tanti altri luoghi della città.
Cosa c’entra tutto ciò con Le mie Ragazze di Carta diretto da Luca Lucini che nel 2023 ha visto uscire un suo secondo film dopo Io e mio fratello, tuttora visibile su Prime Video? Intanto il fatto che si cita a più riprese in modo diretto o indiretto il capolavoro di Germi e poi che, guarda caso, è proprio ambientato a Treviso ma a distanza di tempo, circa un decennio dopo la acida epopea sul boom economico realizzata dal regista genovese, e cioè ad essere precisi nel fatidico 1978, quindi in un periodo radicalmente diverso, contrassegnato dal terrorismo e dall’omicidio di Aldo Moro. Di ciò non c’è comunque minima traccia nel nostro film che vive un po’ come ambientato su Marte, a parte il tormentone sull’innovazione della tv a colori tanto agognata dal personaggio di Anna (Maya Sansa) o la pesante crisi delle sale cinematografiche indotta dalla liberalizzazione dell’etere qualche anno prima con la loro trasformazione in cinema a luci rosse.
Ma al di là degli scarsi riferimenti storici e di quanto detto, l’ultima opera del regista milanese – un autore sempre interessante ma che dopo il suo bel debutto con Tre metri sopra il cielo (2004) non è mai riuscito compiutamente a dimostrare il suo indubbio talento – poco in comune possiamo riscontrare con il citato Signore & Signori. Perché Le mie Ragazze di Carta è, invece, un film non graffiante ma nostalgico che vuole raccontare quei momenti certo importantissimi che si attraversano nel corso dell’adolescenza, in quel periodo di passaggio della pubertà, il Coming of Age dicono gli americani, durante il quale si vivono le “cotte” adolescenziali, i profondi turbamenti del sesso insieme alle prime sfide personali. E che, in questo caso, poi, si intrecciano, in modo decisivo, con il trasferimento dalla campagna alla città della famiglia dei Bottacin, composta dal padre Primo (Andrea Pennacchi), la madre, la già citata Anna, e il figlio adolescente Tiberio un po’ imbranato (Alvise Marascalchi), il protagonista principe che si innamora perdutamente di una star dei soft-porno spiati di nascosto nel cinema Odeon davanti casa.

Dopo aver ottenuto con una evidente “spintarella” democristiana un lavoro come postino, Primo & famiglia decidono dunque di lasciare la campagna e, di conseguenza anche lo stile di vita contadino, ma adeguarsi al contesto urbano non risulterà facile, anche perché la nuova vita inevitabilmente va ad intersecarsi con i cambiamenti socio-economici attraversati dal nostro Paese in quel periodo, di cui, però, lo spettatore attuale poco apprende, purtroppo, dalla narrazione. Tale amnesia storica – troppo frequente nel nostro cinema attuale incapace, il più delle volte, di raccontarci “come eravamo” (a differenza di quanto accadeva in decenni passati) – unita all’altra grave malattia nostrana, quella della ridondanza (assai fastidiosa) del commento musicale, non inficia, per fortuna, il risultato finale complessivo del film. Che infatti alterna momenti molto riusciti come il rapporto tra Tiberio e il suo amico Giacomo (Cristian Mancini) ben più “scafato” dell’amico, a delle sotto-trame narrative a nostro giudizio non molto felici come quella della bizzarra amicizia tra Primo e il trans Claudio (Cristiano Caccamo).
A voler fare un bilancio dell’opera di Luca Lucini, potremmo aggiungere che abbiamo apprezzato l’ottima recitazione del cast – da Andrea Pennacchi alla figura un po’ patetica di una madre generosa ma cieca e conformista ben resa da Maya Sansa a suo agio nella parlata veneta, o a quella del prete (Neri Marcorè), inquieto e anticonformista, che organizza in parrocchia una squadra di rugby dove gioca Tiberio e che ha qualche segreto/peccatuccio nel cassetto. Ciò che ci ha convinto di meno, invece, in una messa in scena molto tradizionale, è quel difetto che risulta dall’omologazione del cinema per il grande schermo da quello per le piattaforme. A seconda dei casi si può considerare “avanzato” e anticonformista il pizzico di pruderie omossessuale che trovavamo in Io e mio fratello (nato e destinato a Prime) mentre viceversa per questo film apparentemente per la sala – dico apparentemente perché poi resta la piattaforma che detta le regole generali in quanto terminale finale e vero del prodotto – vigono purtroppo la medietà e l’omologazione estetica e contenutistica anche riguardo ai fremiti del sesso.
Dopo questa triste considerazione, non sconsiglieremmo affatto la visione di Le mie Ragazze di Carta, fatta la tara dei suoi evidenti difetti (ovvero obblighi produttivi). Tipico prodotto medio adatto a essere immediatamente inserito nei palinsesti casalinghi, l’agrodolce commedia di Lucini ha dei bei momenti intimistici, diversi squarci di verità che la illuminano, un tono talvolta simpaticamente nostalgico in una ricostruzione storica del periodo abbastanza asettica anche se visivamente accattivante. Ma ahimè non dico la zampata potente del leone Germi ma almeno una unghiata di gattino in più, non avrebbe guastato. Parere assolutamente personale.
In sala dal 13 luglio 2023
Le Mie Ragazze di Carta – Regia: Luca Lucini; sceneggiatura: Luca Lucini, Mauro Spinelli, Marta Storti, Ilaria Storti; fotografia: Luan Ujkaj Amelio; montaggio: Carlotta Cristiani; interpreti: Maya Sansa, Andrea Pennacchi, Alvise Marascalchi, Cristiano Caccamo, Raffaella Di Caprio, Alessandro Bressanello, Christian Mancin, Marta Guerrini, Giuseppe Zeno, Neri Marcorè; produzione: 302 Original Content e Pepito Produzioni con Rai Cinema; origine: Italia, 2023; durata: 94 minuti; distribuzione: Adler Entertainmen.