L’imprevedibile viaggio di Harold Fry di Hettie MacDonald

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Se io continuo a camminare, lei continua a vivere

C’è una bellezza propria degli on the road ed è il fatto che ognuno di questi sia simile all’altro e al contempo differente, perché molteplici sono le varianti che possono adottarsi. Alla fine, però, si ha sempre un’impressione: che il cammino sia tanto esterno quanto interno al viaggiatore e a noi spettatori che vi assistiamo. Anche se il viaggio è imprevedibile e il viaggiatore improbabile come… Harold Fry. Scarpe da barca, camicia, cravatta e tanta, tanta fede nell’umanità. La regia di Hettie MacDonald ne accompagna lo sguardo, rivelando il visibile che lo circonda e cerca così di trasformare in pellicola ciò che prima era solo su carta (la sceneggiatura è dell’autrice Rachel Joyce): il risultato è apprezzabile, si pecca però in retorica e abbondanza di linguaggio, laddove le immagini dovrebbero bastare. Insomma, la metamorfosi da romanzo a pellicola non è efficace, la performance del premio Oscar James Broadbent salva invece il lavoro in più momenti.

Scrive per dirmi Addio

Questo scopre il pensionato sessantottenne Harold Fry quando apre una busta arrivatagli dall’’amica Queenie. La donna sta morendo di cancro in un ospizio e Harold pensa di rispondergli via lettera. La scrive ed esce per imbucarla, ma una mancata imbucata tira l’altra e l’uomo decide di non fermarsi più e di raggiungere Queenie, un po’ perché spera in una guarigione insperata, un po’ perché ha fede in… qualcosa, che Dio non è, ma umanità sì. Meno felice di sapere del suo viaggio è la moglie, Maureen:

Harold, sono 800 km per arrivare a Berwick-upon-Tweed!

La distanza non spaventa e Harold parte, tra boschi colmi di rugiada, dormite all’addiaccio, fuochi improvvisati, salvataggi, incontri con giovani persi tra gioventù e droga, telegiornali e cani randagi, nuovi compagni di avventura. Una moglie addolorata ad aspettarlo, un’amica che ritarda la morte per sentire le sue ultime parole, Harold ha tanta strada da fare, in fretta, perché i fantasmi del passato corrono veloci e raggiungono chiunque abbia tanti chilometri da fare, in solitaria.

Per capirci, nella filmografia di Hettie MacDonald ci sono belle cose, anzi Beautiful Thing (1996). Ma anche l’acclamata serie Normal People dal romanzo di Sally Roonie e che una capacità di regia sia alla base de L’imprevedibile viaggio di Harold Fry è innegabile. Il viaggio, o meglio il Pilgrimage di Harold, è una lenta riscoperta del visibile che circonda l’umanità – dettagli e piccoli sguardi, tra boschi uggiosi, cieli immensi e città grigie – ma anche nell’umanità stessa, nella quale gli ultimi sono persone dal destino avverso e i primi non sono altro che persone infelici. Insomma, loro (tutti) non sono cattivi, sono solo infelici, perché non sanno guardare e non hanno fede in qualcosa che non necessariamente deve andare oltre l’umano. Può essere semplicemente la persona accanto a loro, o quella che cammina affianco in strada.

A fronte della creazione di un’atmosfera leggera, ne esce un film a suo agio che vuole mettere a proprio agio lo spettatore in un mondo ovattato nel quale tutti sono buoni e chi non è buono, vorrebbe davvero esserlo. Per fortuna vi è la dimensione personale del protagonista, fatta di dolori e speranze deluse che insaporisce un poco il contenuto. La trascurabile normalità dell’Inghilterra di provincia è così osservata dall’anormalità del viaggio che essendo un pellegrinaggio assume una dimensione altra rispetto al semplice cammino, questo perché Harold non solo incontra persone, ma incontra se stesso e un passato nel quale lui e la moglie hanno dovuto far fronte alla dipendenza del figlio e ora che tutto è trascorso, ne devono scendere anche a patti. Se ce la faranno e come ce la faranno, è il vero nodo del romanzo e allora quel

Salverò Quennie

Diventa piuttosto un “salverò me stesso”.

L’imprevedibile viaggio di Harold Fry ha dalla sua due interpretazione fortissime, l’una di Broadbent e l’altra quella di Wilton, che danno grande stabilità e profondità alla pellicola, nonché una corretta e ottima struttura narrativa. Il film è quindi grandemente godibile, adatto alla famiglia, tuttavia andando verso il finale rivela la propria origine romanzesca e laddove il romanzo ha sue tecniche, non è detto che le stesse siano applicabili al cinema. Si pecca quindi sul finale, quando si fatica a tirare le somme e purtroppo le si vuole tirare tutte, e nel complesso viene da chiedersi se l’essere so british sia favorevole alla pellicola, poiché laddove un sentimento forte come la cattiveria viene ovattato, anche altre emozioni forti lo sono e il rischio è pertanto di trovarsi in mano un prodotto non tanto piatto negli accadimenti, quanto insapore per la fede totale nell’umanità che lo annacqua e la fa diventare a tratti spiccia ingenuità.

Dal 5 ottobre in sala.


L’imprevedibile viaggio di Harold Fry (The Unlikely Pilgrimage of Harold Fry)– Regia: Hettie MacDonald; sceneggiatura: Rachel Joyce fotografia: Kate McCullough; montaggio: Jon Harris, Napoleon Stratogiannakis; interpreti: Jim Broadbent, Penelope Wilton, Monika Gossmann, Joseph Mydell, Bethan Cullinane, Maanuv Thiara, Earl Cave, Linda Bassett, Daniel Frogson, Naomi Wirthner, Joy Richardson, Ian Porter; produzione: Essential Cinema, Free Range Films, Ingenious Media, Rose Pine Productions; origine: Gran Bretagna; durata: 102’; distribuzione: BIM.

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