MedFilm Festival: La gang des Bois du Temple di Rabah Ameur-Zaïmeche (Concorso)

  • Voto


Città. Palazzi. Caseggiati. La macchina da presa panoramica da destra a sinistra inquadrando una vasta area di periferia urbana. Un uomo su un balcone fuma una sigaretta. Attende. Apre la porta dell’appartamento. Entrano dei paramedici. L’uomo si allontana lasciandoli in una stanza. Il personale sanitario esce dalla camera con un corpo imbustato su una barella. Portano via qualcuno che è deceduto. L’uomo resta solo, si accascia. Ha perso sua madre, più che ottantenne, con la quale l’uomo, un militare in pensione, viveva.

Un altro uomo, in un altro edificio della zona abitata, fa colazione con un cornetto assieme alla compagna. Scherzano. La donna lo prende in giro e gli ricorda di andare a prendere i figli a una certa ora perché lei ha da fare. Lui esce. Incontra degli amici nel giardino di zona, sotto casa.

A uno a uno lo spettatore conosce i protagonisti della storia, una vicenda fatta di rapine, di furtarelli, di sbarcare il lunario senza fare troppo rumore. Ma il colpo stavolta è più grande e comporta più rischi. Di notte, con motociclette e vetture potenti il gruppo – la gang del titolo – deruba senza intoppi due tipi che viaggiano su una grande macchina nera dai vetri oscurati. Li bloccano nel mezzo di una strada trafficata, li ammanettano a un palo, derubano il portabagagli pieno di valigie. La refurtiva è composta da diamanti e denaro e, sul fondo di una sacca, documenti scritti, agli occhi dei rapinatori e evidentemente di importanza sconosciuta ma fondata. Dopo aver messo in salvo i valori bruciano tutto: i contenitori, i fogli di carta, tutte le parti di cui sono composte le borse. Attorno al falò esultano.

Di qui in poi saranno guai. Intrecciando le giornate successive alla rapina la vendetta, che viene dall’alto, sarà tragicamente compiuta.

Clamorosa una scena straniante nel contenuto e nella forma, esemplare nella scelta da parte del regista Rabah Ameur-Zaïmeche di un registro narrativo sapientemente dosato tra elementi di realismo ferreo e suspence da film d’azione con un grande tocco d’autore. Fumo. Una discoteca buia, sotterranea. Un musicista di musica elettronica emette note da una tastiera posata su cavalletto in mezzo alla pista. Tutti ballano nell’oscurità. Il ritmo incalza. Un uomo circondato da altri uomini vestiti di tutto punto si leva uno strato di abiti e resta tutto in bianco, camicia bianca e pantaloni aderenti bianchi, dei lacci pendenti al lato di un fianco. È un personaggio esile, non troppo alto, che dietro la fisicità gracile trasmette una forte possenza. Con estremizzata gradualità l’uomo comincia un movimento di spalle a tempo, a cui segue il busto, lentamente anche le gambe partono a muoversi ascoltando il beat che proviene dagli amplificatori. Una danza selvaggia, che ricorda un rito sciamanico, viene prodotta dalle membra vibranti dello sceicco arabo, spoglio degli orpelli di cui solitamente si orna, divenuto menade danzante, come posseduto da un desiderio di anonimato che si scontra con la assoluta visibilità di una danza eclettica di elevata qualità ginnica. Nell’arco della trasformazione da ricco saudita a ballerino alla Tony Manero la tensione musicale diviene muscolare, in un crescendo cinematografico che premette la violenza che prenderà piede poco dopo.

L’ultima scena, come in un cerchio tragico, somiglia alla prima: l’uomo più anziano fuma una sigaretta sul balcone, la macchina da presa panoramica da sinistra a destra inquadrando i caseggiati periferici dove la storia si è srotolata con conseguenze drammatiche per tutti. Nulla è cambiato e tutto è cambiato. Nulla cambierà perché nulla può cambiare finché il sole continuerà a sorgere sulla triste periferia cittadina.


La gang des Bois du Temple; Regia: Rabah Ameur-Zaïmeche; sceneggiatura: Rabah Ameur-Zaïmeche; fotografia: Pierre-Hubert Martin; montaggio: Grégoire Pontecaille; musica: Annkrist, Sofiane Sofi; interpreti: Régis Laroche, Philippe Petit, Marie Loustalot, Kenji Meunier, Salim Ameur-Zaïmeche, Kamel, Mezdour, Nassim Zazoui, Lucius Barre, Mohamed Aroussi, Slimane Dazi; produzione: Sarrazink Productions; origine: Francia, 2022; durata: 112 minuti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *