Ninjababy di Yngvild Sve Flikke

A cosa stai pensando?

Allo sperma.

In Norvegia non piove sempre. È però uno di quei strani paesi nel quale o la notte si divora il giorno o il giorno si divora la notte. Mentre l’una o l’altro mastica avvengono fatti che i registi nostrani da una decina di anni a questa parte, e soprattutto negli ultimi tempi, hanno deciso di mettere in commedia. Si pensi alla La persona peggiore del mondo (2021) di Joachim Trier, presentato a Cannes 2021 e vincitore del premio per miglior attrice a Renate Reinsve. Ninjababy di Yngvild Sve Flikke è similmente una commedia asciutta, con una comicità che va a consumarsi nel corso del film per svelare ciò che è sotto pelle e sotto pellicola: una febbre fredda, a somatizzare un disagio generazionale. Non febbre autodistruttiva come quella degli anni ’80 e ’90, ma piaghe da decubito negli animi di una generazione che sul divano ha rifugio sicuro mentre il mondo esterno la fa sentire estremamente piccola. Ancor più microscopica se ti succede di ospitare a tua volta qualcosa di estremamente minuto che più che tra capo e collo capita dentro di te. E tu pensi

Che non posso essere incinta di sei mesi senza saperlo!

Rakel (Kristine Kujath Thorp) ha una camera disordinatissima, un po’ come la sua vita. Vive a Oslo, ha 23 anni e disegna perché disegnare è quello che vorrebbe fare nella vita ma in realtà la scuola di design l’ha lasciata e ora bazzica tra il divano, il frigo con bevande tropicali ipercaloriche e feste a base di droga alcool sesso. Perché? Perché sì. E non si legga di sfuggita questa risposta perché metà del sotto pellicola sta qui, come nella lista di lavori che la ragazza vorrebbe fare da grande:

Astronauta

Assaggiatrice di birra

Giramondo

Guardia forestale

Disegnatrice di fumetti

Proprio i fumetti che di continuo schizza qua e là, su fogli e altro. Rakel ha anche una amica, Ingrid (Tora Christine Dietrichson), lei camera ordinatissima, che prima la porta a lezione di aikido dove (ri)trova aikido-Mos (Nader Khademi) – il maestro, tipo nerd goffo simpatico – e poi la obbliga a fare un test di gravidanza dopo l’ennesimo cartone di succo aperto e accartocciato. Risultato? Incinta. Padre? Aikido-Moss, il maestro nonché il tipo con cui era finita a letto, sei settimane prima. Ma le precauzioni? Usate. Come è possibile allora?

Sarà perché siamo venuti alla grande.

O magari perché

Evidentemente siamo molto fertili.

Ma Aikido-Mos ha anche ben altre caratteristiche oltre a «spermatozoi con i superpoteri», come un’auto che può rivelarsi parecchio utile quando si è perso il bus, si è fermato un taxi e «devo abortire e ho solo 74 corone sulla carta». I due arrivano così all’ospedale ma abortire non si può: il feto che doveva essere di sei settimane è di sei sì, ma mesi, e in tutto quel tempo si è nascosto. Come? Come un Ninja, un Ninjababy. Ma il padre chi è? E chi lo conosceva Aikido-Moss sei mesi fa. Deve essere quindi qualcun altro. Ingrid commenta:

È come Mamma mia!

In realtà da Mamma mia! siamo ben distanti. Tutt’altra cosa. Dopotutto, siamo in Norvegia, mica in Svezia, qui non si canta, e poi Yngvild Sve Flikke ricama una bella pellicola che è in primis commedia, ma quando alla commedia ci ha ormai abituati, e ci ha fatto adagiare, rivela il lato più amaro, anzi, sofferto. Se si è sprovveduti, lo rivela a tradimento, se si è stati attenti, mostra soltanto ciò che c’è sempre stato.

Il film è però attento a non sprofondare mai del tutto. Non si va mai nel tragico, piuttosto si fa intuire la tragicità del non detto – perché Rakel ha lasciato la scuola di design? Perché Rakel trascorre le giornate sul divano? Perché Rakel ha abbandonato il mondo?– ma per il resto mantiene una leggerezza sostenuta sia dal punto di vista di Rakel sia da ciò che la circonda. Ciò che la circonda è infatti un mondo umano, fatto di personaggi credibili che lei prova a trasporre in fumetto con vari nomignoli – Aikido-Mos, Minchia Santa, Ninjababy etc – ma che umani rimangono e con lei intrattengono bei dialoghi che dell’impaccio, e quindi della difficoltà di comunicazione, fanno il centro funzionale del film. Quasi fossero in presa diretta, improvvisati. La Norvegia, poi, con il suo clima opalescente che pare mantenere ogni cosa e persona in vitro, fa il resto. È un limbo confortevole, tra colori caldi e soffici, nel quale pare essere immersi senza via di uscita. A dare linfa alla melassa, però, c’è la comicità.

Per scorrettezza viene creata la comicità e così la commedia tutta. Si entra a piè pari in quella che è la mente della protagonista e che potrebbe essere in realtà la mente di tutti noi: lì dentro i pensieri circolano senza farsi tanti problemi e senza problemi escono per bocca e per mano, su carta fisica e sulla pellicola stessa nel momento in cui i fumetti diventano per brevi istanti il mezzo narrativo per eccellenza. Entriamo pienamente nel mondo di Rakel, in quel caro e acrobatico filtro fumettistico che è appunto filtro e anzitutto protezione l’esterno. Un mondo scorretto divertente comico, almeno finché la ventitreenne non entra in overthinking e quello che all’inizio pareva una situazione da commedia – scoprirsi incinta di sei mesi a 23 anni e quindi essere costretta al parto – poi rivela la sua parte più spinosa e difficile. Perché non si è mai forse pronti a far nascere qualcuno, ma soprattutto non si è mai pronti a farsi piacere qualcuno che tu stesso stai creando. Insomma,

Non è mai stata nella mia lista essere madre.

È qui che si rivela il lato più interessante del film. Come interessante è il fatto che ci si sia arrivati attraverso un tono comico roso fino all’ultimo filamento. L’attrice protagonista, Kristine Kujath Thorp, rende pienamente la forza vitale di una giovane che prima si divincola nella società, va alla deriva con forza e poi soffre la frustrazione di dover fare una cosa che non ha mai voluto e ora non vuole certo fare:

Non voglio avere figli. Io sono questa.

Ritrovarsi mamma e non volerlo essere in una società che considera la donna compiuta solo se madre. Sentirsi sbagliati, quasi contronatura nell’essere ciò che si è, e comunque tentare di andare avanti perché si deve poter essere altro e comunque se stessi: donna, sine conditio di sorta . È insomma febbre generazionale. È febbre di essere – direbbe Sandro Veronesi – «l’uomo del futuro», senza vie tracciate davanti a sé e senza vie tracciate alle spalle. Laddove il mondo del fumetto non può arrivare a proteggerti. Forse.

Dal 13 ottobre al cinema.


Ninjababy – regia: Yngvild Sve Flikke; sceneggiatura: Johan Fasting, Yngvild Sve Flikke, Inga Sætre; fotografia: Marianne Bakke; montaggio: Karen Gravås; musica: Kåre Vestrheim; interpreti: Kristine Kujath Thorp, Arthur Berning, Nader Khademi, Tora Christine Dietrichson, Silya Nymoen, Herman Tømmeraas, Mathias Kolstad Eriksen, Anita Gulliksen; produzione: Motlys AS; origine: Norvegia, 2021; durata: 103’; distribuzione: Arthaus.

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