Dalla produttiva interazione di due importanti figure del mondo dell’arte degli ultimi decenni nasce un interessante, un po’ ripetitivo, mediometraggio intitolato Pablo di Neanderthal (in “Notti Veneziane”. Le figure in questione sono l’artista (pittore, fumettista, autore di ready made) di origine cilena Pablo Echaurren (1951) e il videoartista Antonello Matarazzo (1962).
In realtà vi è anche una terza figura, ovvero lo storico dell’arte Bruno di Marino (1966), abituale collaboratore di Antonello Matarazzo che vediamo costantemente in scena. L’assunto del film, di impostazione marcatamente saggistica, è ben esemplato dal titolo. Attraverso il dialogo e la dialettica fra Echaurren e Di Marino emerge il tentativo di riabilitare la linea evolutiva poi estintasi dell’uomo neanderthaliano in opposizione alla linea dominante ovvero quella dell’homo sapiens, con alcuni momenti di storia controfattuale, tipo: che cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente se Neanderthal avesse avuto il sopravvento su Sapiens? Ciò da vita a una serie di considerazioni, diciamo così, di paleo-antropologia, che hanno l’ambizione di virare verso riflessioni che ineriscono alla storia dell’arte, al suo sviluppo soprattutto novecentesco, avanguardistico e neo-avanguardistico, nel corso del quale la creazione artistica tradizionale cede il passo al montaggio di oggetti, di ready made, all’ars combinatoria, al bricolage.
È proprio il concetto, reiterato oltre ogni dire, di bricolage quello su cui, in perfetta linea con Claude Lévi-Strauss, si regge l’intero video-saggio, bricolage nel senso, appunto, antropologico e paleo-antropologico del termine, e bricolage in senso più squisitamente artistico: attraverso i pochi reperti “artistici”, l’uomo di Neanderthal viene quindi visto come esponente di una concezione assai più ingenua, involontaria, anarchica del fare artistico e dunque più in linea con un certo sviluppo dell’arte contemporanea, o quanto meno con l’indirizzo nel quale Echaurren si riconosce, il quale a un certo punto orgogliosamente dichiara, di non aver più preso in mano un pennello da tempo immemorabile.
Sul piano spaziale il film alterna numerose scene in interni a scene en plein air, iscrivendosi queste ultime a tutti gli effetti nel genere della flânerie, anche se la scelta dei luoghi non appare per nulla casuale ma invece deliberata, togliendo dunque alla flânerie quell’elemento di sorpresa e di stupore che le si addice; i luoghi trascelti sono, da un lato, luoghi in cui sono state rinvenute tracce archeologiche di un passato remotissimo, dall’altro, invece sono luoghi “storici” che documentano l’itinerario politico e artistico di Pablo Echaurren che – i più vecchi lo ricorderanno – è stato una figura di spicco a partire dagli anni ’70 come attore e testimone del movimento degli Indiani Metropolitani, fumettista e autore di copertina (la più celebre di tutte quella di Porci con le ali), e dunque soprattutto scene girate a La Sapienza interpolate da foto e video d’archivio. L’analogia fra l’uomo di Neanderthal, estinto, e gli Indiani, a loro volta in qualche misura estinti, mi sembra un po’ tirata per i capelli (ma un po’ tutto il film è tirato per i capelli…).
La parte più interessante, anche perché visivamente e cinematograficamente più originale, è invece quella girata in interni, nella quale Matarazzo si lascia andare a tutta una serie di espedienti visivi facendo entrare i due protagonisti e anche altri personaggi dentro le elaboratissime scatole di ready made dell’artista e quindi creando effetti di miniaturizzazione o di ingigantimento, un po’ troppo compiaciuti forse, ma certamente curiosi e divertenti.
Pablo di Neanderthal; regia, fotografia, montaggio: Antonello Matarazzo; sceneggiatura: Antonello Matarazzo, Bruno Di Marino, Pablo Echaurren; produzione: Eskimo Produzioni; origine: Italia 2022; durata: 63′.