Quando Hitler rubò il coniglio rosa di Caroline Link

  • Voto
2.5

 

 

 

 

 

 

 

 

È difficile trovare una regista tedesca e forse europea paragonabile a Caroline Link, giunta all’età di 58 anni al suo settimo film, anche se,  allorché il suo ultimo film Quando Hitler rubò il coniglio rosa uscì in Germania il giorno di Natale del 2019, la regista di anni ne aveva tre di meno.

Link ha esordito, si può dire, col botto, se si tiene conto che il film d’esordio Jenseits der Stille (Al di là del silenzio, film dai tratti non troppo dissimili dal film che ha vinto il premio più importante nell’edizione di quest’anno dell’Oscar, ovvero I segni del cuore – CODA) è entrato subito nella cinquina dell’Oscar come miglior film straniero. Quel premio che la regista vincerà cinque anni dopo nel 2003 con Nirgendwo in Afrika (circolato in Italia con il titolo inglese Nowhere in Africa, anch’esso, come il presente film, storia della migrazione di una famiglia ebraica). Da allora di film Caroline Link ne ha girati solamente altri quattro, senza riuscire, neanche lontanamente, ad avvicinarsi ai successi internazionali raggiunti.

E dire che l’autrice è rimasta sostanzialmente fedele alla sua impostazione iniziale: film preferibilmente tratti da opere letterarie (il target privilegiato è il cosiddetto “young adult”), film che privilegiano la prospettiva di bambini/e, ragazzi/e, adolescenti, film in costume (i cosiddetti Heritage film), film che hanno l’ambizione di (e riescono a) intercettare un pubblico molto ampio, basti dire che la strategia pubblicitaria del presente film, uscito non a caso, come già si diceva il giorno di Natale, ha ricorso a un termine decisamente vintage quale “Familienfilm”, ovvero film per famiglie.

Quando Hitler rubò il coniglio rosa è tratto da un bestseller omonimo uscito in Gran Bretagna nel 1971 e da allora tradotto in moltissime lingue (in Italia presso Rizzoli) di cui è autrice Judith Kerr, scomparsa novantaseienne nel 2019. L’unico libro a cui, per certi versi, il volume della Kerr potrebbe essere paragonato, in termini di impostazione e di notorietà, è il Diario  di Anne Frank, con la nient’affatto secondaria differenza che in questo caso abbiamo a che vedere con una vicenda che termina con uno happy end.

Judith era la figlia di un famoso e per certi versi famigerato critico letterario di origine ebraica ovvero Alfred Kerr (1867-1948), forse il critico più temuto di lingua tedesca a cavallo fra l’inizio del ventesimo secolo e la fine degli anni ’20 (celeberrima la sua costante polemica con un’altra penna altrettanto affilata, ossia Karl Kraus, anch’egli di origine ebraica, i due si sono affrontati anche in aula di tribunale).

A fronte della montante marea nazista Kerr non esitò a prendere agguerrite posizioni pubbliche contro le camicie brune, col risultato che subodorando già alla vigilia delle elezioni del marzo 1933 la vittoria di Hitler, con eccellente tempismo decise di lasciare la Germania già nel febbraio, iniziando un percorso di esilio che nell’arco di pochi anni condusse lui e, solo un paio di settimane dopo anche la famiglia, dapprima in Svizzera, poi a Parigi e quindi a Londra, dove la famiglia Kerr approda già nel 1935.

Ed è proprio questa la vicenda al centro del libro di Judith Kerr e del film di Caroline Link (il titolo si capisce subito e non stiamo a spiegarlo), una vicenda – nel libro come nel film- raccontata dal basso, ossia dalla prospettiva di una ragazzina che al momento dell’esilio non ha ancora compiuto dieci anni e che per ben tre volte, dunque, nell’arco di poco tempo perde e deve riconquistare le proprie coordinate sociali, ambientali e anche linguistiche: dal tedesco al tedesco-svizzero, al francese all’inglese. L’itinerario si rivela, non ultimo, assai complesso perché stiamo parlando di una benestante famiglia dell’alta borghesia ebraica che vive nel quartiere berlinese di Charlottenburg e finisce in Engadina ospite dapprima di una famiglia di contadini, poi in un casetta di domestici a Parigi, mentre di Londra nulla sappiamo perché il film si chiude quando all’orizzonte si stagliano le bianche scogliere di Dover (ma a questo primo libro Judith Kerr ne farà seguire altri due, non così di successo come il primo). Il padre stenta a trovare lavoro, la madre, pianista e compositrice, trascorre le sue giornate a mettere insieme pranzo e cena, insomma una decadenza sociale che anche i figli (Judith e il fratello maggiore Max) devono a più riprese subire, cercando per quanto possibile di tenere viva la speranza, i sogni e mostrando tutto sommato eccellenti capacità di adattamento.

Il film, a tratti molto televisivo, asseconda questa trama dove non si può certo dire che il plot scarseggi e come sempre accade in pellicole siffatte, tutto o molto dipende dal casting, ovvero dalla scelta della ragazzina che interpreta la giovane Judith. Non si possono che fare i complimenti alla regista – espertissima del resto, come già si diceva, con i giovani attori, lo dimostra anche il penultimo film, un successone in Germania ma mai uscito in Italia il cui titolo, tradotto, sarebbe Il ragazzo ha bisogno di un po’ d’aria, anch’esso uscito, esattamente un anno prima, nel giorno di Natale del 2018 – perché Riva Krymalowski, di origine zurighese, è davvero bravissima nel rappresentare egregiamente tutte le possibili sfumature di tristezza, nostalgia, sfrenatezza, improntitudine, allegria che nel corso di questi due anni così avventurosi è costretta ad attraversare.

Ed è molto bravo anche Oliver Masucci, attore italo-tedesco, che da qualche anno si è rivelato un interprete di grande livello, è stato ad esempio il personaggio di  Fassbinder in Enfant terrible, uno dei più interessanti biopic degli ultimi anni, diretto da Oskar Rohler.

Per il resto: il film, non a caso  coprodotto anche da  Rai Cinema, è dignitoso, un po’ posticcio (come si vede che Parigi non è Parigi…) e, ancora una volta, perfettamente in linea con i prodotti tedeschi che in Italia in qualche misura funzionano sempre, ossia gli Heritage film.


Cast & Credits

Quando Hitler rubò il coniglio rosa (Als Hitler das rosa Kaninchen stahl)  – regia: Caroline Link; sceneggiatura: Caroline Link, Anna Brüggemann; fotografia: Bella Halben; montaggio: Patricia Rommel; interpreti: Riva Krymalowski (Judith), Oliver Masucci (Arthur), Carla Juri (Dorothea), Marinus Hohmann (Max),  Justus von Dohnányi (zio Julius), Ursula Werner (Heimpi); produzione: Sommerhaus Filmproduktion, Warner Bros; origine: Germania, Svizzera, Italia 2019; durata: 119′; distribuzione: Altre Storie.

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