Chi legge potrà smentirmi con decine di esempi che vanno in senso contrario, ma oso affermare che se sei arrivato a 47 anni e ancora non hai girato un lungometraggio forse qualche ragione che non dipende solamente dalla cattiveria del mondo ci sarà. Victor Iriarte (regista basco del 1976) si trova per l’appunto in questa condizione. Membro del comitato di selezione del festival più famoso della sua regione (Stato) ossia quello di San Sebástian, Iriarte, a partire dal 2006 si è dato al cinema, nella pagina web a lui dedicata presso le Giornate degli Autori si riportano la bellezza di quindici film, tutti rigorosamente cortometraggi.
Quello presentato a Venezia è invece il primo lungometraggio, s’intitola Sobre todo de noche un’espressione che ricorre due volte nel film, una in portoghese quando il film, nell’ultimo terzo circa, si trasferisce a Porto (coproduzione Francia, Spagna, Portogallo) e l’altra in spagnolo, proprio nelle ultime righe. Si tratta di un film estremamente artificiale, estremamente lento che ostenta un’enorme complessità strutturale a parere di chi scrive un po’ fine a sé stessa. Una complessità che è un po’ il biglietto da visita del neo-noir a cui il film a più riprese intende richiamarsi, senza però riuscire davvero ad appassionare lo spettatore in merito a questo enigma gravido di tante parole, di un eccesso di letterarietà incentrato su un triangolo “amoroso” che come tale intercetta anche l’altro genere a cui il film intenderebbe strizzare l’occhio ovvero il melodramma. Ché il film racconta il ritrovamento da parte della madre biologica del proprio figlio dato, suo malgrado, in adozione, nonché appunto della madre adottiva che a un certo punto ha raccontato al figlio la verità, ossia di essere un figlio adottato, anche se lei stessa non sa tutto, visto che le hanno detto che la madre biologica era morta.
Si tratta invece di un episodio che va a iscriversi in una storia che è già stata trattata dal cinema – ricordo un ottimo documentario, prodotto da Pedro Almodóvar passato a Berlino nel 2018 intitolato The Silence of Others di Almudena Carracedo, Robert Bahar– incentrato sulla piaga risalente all’epoca del franchismo, in base a cui figli neonati venivano trafugati dai reparti maternità per essere assegnati a famiglie benestanti e fedeli al regime, sottraendoli a gente poco abbiente o dissidente. Qui, fra le molte cose che non si capiscono, non sappiamo nemmeno in che periodo siamo e se dunque anche in questo caso ci si riferisce ad eventi di diversi decenni fa, o se una prassi in qualche misura analoga è continuata anche successivamente. Tutto questo per dire che il film, oltre a voler essere un neo-noir e un melodramma (per la verità del tutto privo di conflitti poiché le due madri si conoscono, sviluppano solidarietà e non hanno nessuna ansia di prevaricazione l’una sull’altra sulla base di presunti diritti acquisiti) intende essere anche un film politico, tanto che Vera la madre biologica, oltre a ritrovare il figlio, ha concepito anche un progetto di vendetta, che nella sua esecuzione, fin dall’inizio, appare decisamente e inutilmente fumoso.
Brave le due attrici, due dive del cinema spagnolo, ovvero Lola Dueñas e Ana Torrent, che si ritrovano per la prima volta a recitare insieme. Per il resto il film, anche sul piano più squisitamente formale, è molto ambizioso, ad esempio allorché buona parte della seconda sezione è ripresa attraverso un obiettivo a iris che rende il tutto molto molto artificiale. Inutilmente artificiale.
Sobre todo de noche – regia: Victor Iriarte; sceneggiatura: Victor Iriarte, Isa Campo, Andrea Queralt; fotografia: Pablo Paloma; montaggio: Ana Pfaff; interpreti: Lola Dueñas (Vera), Ana Torrent (Cora), Manuel Egozkue (Egoz); produzione: La Termita Films, Atekaleun, CSC Films, Inicia Films, Ukbar Filmes, 4 A 4 Productions; origine: Spagna/Francia/Portogallo, 2023; durata: 109 minuti.