Ai margini di una Palermo livida, riconoscibile prima di tutto dalle voci dei personaggi, assistiamo a una vicenda amara, tosta e cupa, che comincia con un grido di dolore e finisce molto peggio. Prende forma, e prende morte, attorno a un sottoproletariato contemporaneo debole, solo, divorato ancora oggi da chi ha «studiato» un po’, da quello un pizzico più forte, colpevolmente piegato al cinismo, ciecamente al servizio del male, malato dunque anch’egli.
Lentamente, inesorabilmente, Spaccaossa (passato in anteprima alle scorse “Giornate degli Autori/ Notti veneziane”) si impregna di sordido, di agghiacciante, senza mai scalciare il realismo, anzi. Goccia dopo goccia si allarga di tristezza fino a togliere il respiro, e non servirebbe nemmeno la didascalia finale che parla di una storia vera alla radice del racconto: un’indagine della polizia che ha decapitato un’organizzazione criminale che truffava le assicurazioni mutilando volontariamente, consensualmente – su quest’avverbio ci sarebbe da parlare – poveri disgraziati strozzati dalla vita. Gente che per uscire – o pensare di uscire – da una condizione misera e dolorosa, si faceva spaccare un braccio, una gamba, facendoci cadere sopra un valigia piena d’acciaio. Tutto arrivava vero già guardando, deciso addosso e questo è il merito di un film semplice, nel senso di essenziale, e volontariamente nauseante, inevitabilmente stordente, che fa male in modo sano. Non solo perché i disgraziati vittime, quelli che si fanno spaccare le ossa per due lire, per mettere insieme quattro soldi per la comunione di una figlia, o solo per renderle la vita più accettabile, hanno facce, barbe, vesti e posture credibili, sia quelli più a fuoco che quelli appena pennellati; ma anche perché i carnefici, gli spaccaossa del film, sono l’altra faccia della medaglia, il completamento di un paesaggio vasto in cui questa follia è possibile, realizzata, perpetrata.
Tra di loro ce n’è uno soprattutto, una sorta di personaggio cerniera: ponte tra spaccatori e spaccati, interpretato dal regista stesso, Vincenzo Pirrotta. Si chiama Vincenzo anche nel film, fa parte della banda eppure ha cuore, o almeno sembra averne. Vive con l’anziana madre e partecipa al reclutamento dei disperati: anche lui fa lo sciacallo sull’uscio dei tuguri, negli angoli di strada. Offre il macabro servizio a volte solo accogliendo la domanda. Si può fare! Lui sta lì, a consigliare o consentire l’oscura e falsa via d’uscita. Eppure si accorge di Luisa, giovane drogata e disperata. Se ne innamora, facendole annusare la salvezza, respirandola anche lui. Cammina sul confine per un po’, ma cede quasi subito, spinto dalle difficoltà economiche e dal soffio sottile e potente, forse simbolico, della stessa vecchia madre. Può darsi metafora di una sottocultura, di uno spazio fisico e mentale, di una condizione che nasce da lontano, da quel profondo degrado dove o si rimedia con l’assurdo o si muore. Cordone ombelicale robusto, impossibile da rompere, che avvolge Vincenzo rapidamente e lo porta, complice la sua indecisione di fondo, la sua dannosa sospensione di coscienza, alla distruzione del raggio di luce. Fanno una diversa brutta fine, Luisa e Vincenzo, chi restando, chi abbandonando in modo estremo la palude velenosa, mentre piove, sopra questa storia brutta del nostro tempo, giusta da raccontare e giusta da raccontare così: asciutta, spogliata da ogni orpello, capace di farsi paradigmatica e di estendersi – col suo estremo lancinante – a vari livelli della nostra società senza comunità, dove da fragili si è preda immobile dei lupi, anzi dei cani, degli sciacalli, appunto, dove il denaro sa distruggere ancora in questo modo.
Una storia fotografata senza sole da Daniele Ciprí e sostenuta da ottimi interpreti come Luigi Lo Cascio, Ninni Bruschetta, la grande Aurora Quattrocchi nei panni della madre, Giovanni Calcagno, Filippo Luna, Selene Caramazza, Rossella Leone. Scritta dal regista stesso insieme al duo comico Ficarra e Picone, anche se qui non si ride mai, ed è bene così. C’è da osservare seri, e non smettere di interrogarsi.
In sala dal 24 novembre