Uscì domani: Scuola elementare (1954) di Alberto Lattuada

Eppure, nella sua tenuità, nella sua bonarietà apparentemente evanescente e innocua, Scuola elementare di Alberto Lattuada – che uscì il 29 dicembre del 1954 – racconta il suo tempo ed è addirittura un piccolo avamposto sul cinema del boom economico e dell’imminente Italia industriale. Nella sua mitezza, in quel candore morbido tradotto nel sentimentalismo educato di certa commedia anni Cinquanta, ci conduce a piccoli passi in una fabbrica di automobili. Poi ci presenta industriali scaltri, cinici e affaristi; ci accompagna nel mondo della pubblicità, intesa come anima del commercio, e ci fa sedere tra i concorsi di bellezza e in certo giornalismo rosa, fino alla moderna potenza di una copertina di giornale. Ci lascia passeggiare tra i negozi illuminati per chiudere la sua gita ante litteram o quasi, nella planante società del consumo e dello spettacolo. Essa è contrapposta ai piccoli mondi, per certi versi antichi, di un bidello e di un maestro elementare semplici. Due ometti non ancora all’italiana, rispettivamente interpretati da Mario Riva (Pilade Mucci) e Riccardo Billi (Dante Trilli): la grande coppia comica dell’epoca, in realtà già allora agli ultimi squilli. Lo spazio scenico di Scuola elementare? Milano, chi altri se non lei? La città futura di La vita Agra, di Rocco e i suoi fratelli, di Romanzo Popolare, qui sussurrata nella sua forza industriale e persino poetica, ma anche, sotto la nebbia e certi scorci Duomo compreso, già ruggente. Timidamente ma ripetutamente.

La trama parla di un bonario maestro elementare, spinto, da un concorso appena vinto, dalla laziale e semplice Palestrina, all’illuminato, freddo e anche costoso, capoluogo lombardo. Qui ritrova Pilade, suo vecchio compagno di scuola, ora divenuto bidello. Che a Milano ha casa, ma nonostante sia svincolato dalla zavorra dell’affitto, è costretto ad arrangiarsi con l’arte del lavoretto. Non è cinico, però, né indurito dal vento tagliente degli affari. Il suo cuore è intatto, tanto che all’amico ritrovato non chiede soldi per la condivisione dell’appartamento ereditato da un’anziana zia. Lo fa in nome di vitali e antichi valori nutritivi, masticabili nella dinamica e abbagliante nuova società là fuori. Insieme sogneranno, Dante e Pilade: l’insegnante l’amore, con la giovane maestrina Laura, sedotta e abbandonata da un ricco e arrogante industriale. Guardacaso. Il bidello il successo, il denaro, il miraggio dell’imprenditoria, con l’invenzione di una bizzarra camicia mutanda da lanciare sul mercato. Il secondo, soprattutto, verrà strattonato dentro il frullatore della modernità uscendone stordito e affranto. Tirerà dentro, per qualche attimo di smarrimento ed euforia post-delusione amorosa, anche il romantico e tenero maestro. Ci vorrà un finale tutto cuore per riportarli al valore della realtà, alla benedizione del buono raggiunto, dell’utile tangibile, alla comprensione del valore grande del loro mestiere: educare, prendere le vite fragili, giovani del prossimo sconosciuto, di un bambino bisognoso come Crippa, per esempio, e costruirgli un futuro. Accade durante una cerimonia che canta la bravura di tanti maestri, che racconta il loro valore e le loro gesta. Billi/Trilli si commuove e lascia partire un monologo richiedente lacrima ma anche capace di rimanere sorprendentemente attuale: «I maestri sono degli eroi – snocciola – Come dice il Manzoni? Il coraggio uno non se lo può dare. Per questo non tutti ce la fanno, ma di questi qui che non hanno dubitato un istante, che non hanno disertato, che hanno dimenticato loro stessi per ricordarsi degli altri, e ce ne sono tanti che non conosciamo, di questi qui che rappresentano tutta la nostra Patria da Trieste alla Sicilia, ricordiamoci i nomi, perché se essi si sono sacrificati per vocazione, è pur tempo di riconoscere i loro diritti, e se anche qualcuno di loro non può vederci, essi ci guardano dentro, perché essi sono quel tanto di buono, di pulito, di serio, che resta nonostante tutto della nostra coscienza».

Sono la risposta al rampantismo crescente fuori dalla scuola e saranno parole catartiche per lo stesso dubbioso Dante Trilli: si trasformeranno in fine della crisi quando il piccolo Crippa avrà superato, anche grazie all’antica cura del maestro, gli esami di riparazione e si dividerà, nel finale (sottilmente) toccante del film, tra il grasso dell’officina meccanica e il proseguimento degli studi, facendo risorgere l’entusiasmo e le motivazioni del povero insegnante. Trilli strapperà le sue confuse dimissioni, mentre Pilade sornione, sull’uscio dell’aula, gongola silenzioso per la pace e il senso ritrovato, di entrambi.


I precedenti pezzi della rubrica sono: Uscì domani – Sui capolavori impolverati del passato italiano: La corruzione di Mauro Bolognini (1963)
                                                                 Uscì domani: Il sole negli occhi (1953) di Antonio Pietrangeli

 

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