Vi è la perfezione delle rose, poi quella del resto, e le prime possono essere vocabolario per il secondo. Tra petali e profumi, La Signora delle Rose in originale Sous les Etoiles de Paris), per la regia di Pierre Pinaud, porta in un mondo nel quale la bellezza dell’apparenza è schermo per la trattazione di ricordi dalle forti radici e di relazioni genitoriali mai sbocciate. I sentimenti non conoscono lo spazio della parola e si avvalgono di un altro linguaggio, quello floreale. Lì si può dire qualcosa comunicando molto di più, è sufficiente conoscerne l’ABC.
Perso l’ultimo concorso di rose, Eve (Catherine Frot) si trova a un passo dal fallimento del suo vivaio a conduzione famigliare, ereditato dall’amato padre. I soldi per pagare i braccianti non ci sono più e tocca pescare nelle comunità di reinserimento per avere a disposizioni sei braccia gratuite: Nadège (Marie Petiot), Samir (Fatsah Bouyahmed) e Fred (Melan Omerta). Quest’ultimo, nonostante la giovane età, ha un passato da delinquente di prima categoria, specialità furto, e lo sprezzo del pericolo necessario per realizzare il piano di Eve: impossessarsi di una rosa, The Lion, per realizzare un’ibridazione capace di risollevare lo stato delle sue serre. Tra la rosa ed Eve un ostacolo: il vivaio a produzione industriale di Lamarzelle (Vincent Dedienne), un coltivatore prestato agli affari.
Inizia così una storia incalzante, si direbbe ‘rotolante’: goffi furti e ‘spaccio di rose’, ibridazioni cercate e ibridazioni casuali, alcune clamorosamente fallite altre inaspettatamente riuscite. Si crea così un terreno fertile per le rose future ma anche per le relazioni umane, tra chi cerca la ‘timida imperatrice’ e chi il contratto a ‘tempo indeterminato’ (stesse iniziali), tra chi ha genitori che non lo riconoscono e chi riconosce un possibile figlio, nonché un naso fine in chi credeva di avere solo mani svelte.
La Signora delle Rose è un buon prodotto. Forse, come si vedrà, fin troppo. La mdp si muove in modo ordinato, la fotografia non osa e la musica fa spola tra musica classica (Vivaldi, Mozart), classiconi melodici francesi e musica rap-pop dei giorni nostri. L’attrice protagonista, Catherine Frot, è nata per recitare il ruolo della signora francese di mezz’età, smaliziata quanto basta per organizzare un furto e con rughe appena accennate per dissimulare un accenno di tenace tristezza. Sicuramente, lei è l’ingrediente fondamentale per creare questo ‘piccolo mondo antico’ della campagna parigina: una terra sognante nella quale la purezza dell’artigianato cozza contro un mondo industriale finalizzato al profitto e non certo alla bellezza duratura («le rose durano 5/6 anni, poi così comprano altro»). Perché alla fine, il film, è proprio una questione di bellezza.
Nel film la bellezza assume diverse forse, in primis quella delle rose, e poi quella umana. Per entrambi è necessario un apprendistato per poterla vedere e poi un linguaggio per poterla esprimere, magari ancora quello delle rose. Dopotutto, è la capacità di innestare nel ceppo selvatico la rosa che mira al titolo di più bella, saper distinguere che una cosa è sfiorare e smuovere la terra, un’altra è toccare la spalla di una persona. Azioni non facili, azioni i cui risultati possono avere successo come fallimento. L’importante è sapere «vedere la bellezza anche quando è piccola» e saper ancora che non è tanto difficile creare una rosa nuova, quanto curarla nella sua fioritura.
Si vorrebbe dire che La Signora delle Rose è un film francese, sapendo di dire altro oltre la tautologia, e allora lo si dica pure aggiungendo che è un film furbo. Bravo a coniugare la nostalgia di un mondo ormai andato con una collaudata sfera di sentimentalismo ben affrontata (rapporto genitori-figli), si riconosce pure efficace nel saperlo mantenere vivo attraverso alcune parentesi giocose e una comicità schietta. Ne esce un prodotto infiocchettato, da serata natalizia, nel quale tuttavia è stato necessario crearsi un nemico di cartapesta (il coltivatore avido) e un finale non del tutto chiaro: la realtà lascia spazio a un tirato ‘per sempre felici e contenti’ che dubbi all’occhio attento li lascia. Sempre che non sia scesa una lacrima a velarlo. Della rosa, insomma, si mantiene la purezza della superficie, e tutto sommato la si sfrutta fino all’ultimo petalo.
In sala dal 2 dicembre
La Signora delle Rose (Sous les Etoiles de Paris) – regia: Pierre Pinaud; sceneggiatura: Philippe La Guay, Fadette Drouard, Pierre Pinaud; fotografia: Guillaume Deffontaines; montaggio: Valérie Deseine, Loic Lallemand; musica: Mathieu Lamboley; trucco: Magalie Dumas; interpreti: Catherine Frot, Marie Petiot Vincent Dedienne, Olivia Côte, Fatsah Bouyahmed, Melan Omerta; produzione: David Giordano, Stéphanie Carreras, Philippe Pujo; origine: Francia, 2020; durata: 105’; distribuzione: I Wonder Pictures.