Shangai, 1937: la città è divisa in due poli opposti. Da una parte l’inferno, dall’altra l’inferno – due facce della stessa medaglia si scontrano sul medesimo suolo: se la prima somiglia ad una bolgia di ferro e fuoco, la seconda possiede la fisionomia più enigmatica e sotterranea di una chimera. Unico limite posto a separare i due universi paralleli è il fiume, barriera invalicabile nonché invito alla fuga. Nel mezzo, ciò che rimane dell’esercito cinese tenta di salvare le macerie del proprio mondo, barricandosi in un vecchio magazzino.
Il filmone di Guan Hu si apre su uno scenario apocalittico: quello della seconda guerra sino-giapponese. La capitale del regno coltiva l’illusione di sopravvivere attraverso le sue zone franche – paesaggi in realtà già da tempo colonizzati, violentati, diseredati, privati della propria storia. 800 eroi è un titolo che può condurre in errore: difatti, l’ottantottesima divisione dell’Esercito Rivoluzionario Nazionale contava poco più di 400 uomini, fra i quali abbondavano profughi e disertori. La retorica somiglia a quella di altri lungometraggi (il recente 1917 di Sam Mendes non ne è che un pallido esempio https://www.closeup-archivio.it/ago) e sfocia in un patriottismo tanto familiare in Cina quanto estraneo (siamo sicuri?) a noi occidentali.
Come la capitale invasa, anche il film potrebbe scindersi in due settori: se la prima parte sembra avere il coraggio di mostrare, prima del mito nazionalista e dei suoi spettri, l’individuo in quanto tale, il secondo capitolo precipita in un baratro di sangue dal retrogusto pericolosamente revanscista. Con ciò non si intende negare la veridicità dei fatti rappresentati, ma l’estetica hollywoodiana e patinata utilizzata dalla cinepresa rischia di produrre soltanto incubi.
Il regista vorrebbe tracciare l’itinerario di una presa di coscienza collettiva, trasformando il fuggiasco, l’orfano strappato al suo villaggio, il padre di famiglia mancato, il contadino, l’insegnante in soldati pronti a morire per la libertà. La quale, nel Novecento, non è mai legata al soggetto, ma ad un ideale comune – lo stesso per cui, paradossalmente, ci si cannibalizzava a vicenda. Lo sanno tutti, lo sa in primis il regista e sceneggiatore Guan Hu: e infatti, il suo tocco non possiede certo quell’ingenuità che renderebbe necessaria la pubblica (e ridicola) reprimenda da noi sopra citata. Gli attori esordiscono in un vero campo di battaglia, la morte dilaga ovunque e nessuno sa perché, la legge della violenza è insopportabile, indipendentemente dalla bandiera di chi la esercita.
Quello che davvero risulta sgradevole è il modo in cui questi civili in divisa militare, così umani, così degni di empatia siano pronti a trasformarsi nella perfetta (e informe) protesi di un’idea. 1917 non era tanto diverso, dipingendo il conflitto nello stesso modo in cui lo ritrae chi offre al grande schermo emozioni facili a prezzi accessibili. E infatti, 800 eroi vanta il maggior incasso della nefasta annata 2020. Nell’ultima ora e mezza non c’è traccia di Storia, né di persone in carne ed ossa – diremo di più: se potessimo trapiantare l’esercito cinese a Dunkerque, non cambierebbe nulla. I carnefici rimangono carnefici, le vittime rimangono vittime, grazie tante. Eppure l’autore sembra più perspicace di quanto non abbia il coraggio di dimostrarsi – specialmente in prossimità dell’epilogo.
Interessante è infatti il confine posto fra i due mondi, fra la Shangai triviale e coloratissima dei coloni inglesi e le macerie delle trincee. Con i suoi Cabaret e il suo gioco d’azzardo, la Concessione straniera s’illude di sfuggire al proprio futuro semplicemente tenendosi a debita distanza e limitandosi a guardarlo dalla lente di un cannocchiale. Il voyeurismo regna sovrano, l’opera si fa teatro di strada, il ricordo delle origini si prostituisce nei suburbi (e nel linguaggio scurrile dei totalitarismi): la guerra, per chi se lo può permettere, è un grande spettacolo di varietà. Lo è ancora oggi. Guan Hu ce lo dimostra prendendo l’uomo e tramutandolo in una macchina da combattimento cinematografica. Non c’è nessuna coerenza che leghi i due fronti della pellicola ma, del resto, ai politici chiusi nel proprio dirigibile l’introspezione psicologica del soldato semplice non interessa affatto. La narrazione oscilla fra picchi e abissi, forse l’obiettivo non ha il coraggio di spingersi fino in fondo, preferendo abbandonare per strada le sue pedine. Sopra alla catastrofe, troneggia lo sguardo indifferente della macchina da presa: ed è forse in questa verità amara, non nella patriottica apoteosi finale, che il regista affila i suoi artigli.
In sala dal 25 giugno e in programma alla 23 edizione del Far East Festival (24 giugno- 2 luglio 2021)
Cast & Credits
800 eroi – Regia: Guan Hu; sceneggiatura: Guan Hu; fotografia: Cao Yu; montaggio: Yiran Tu, He Yongyi; interpreti: Huang Zhizhong (Lao Hulu), Zhang Junyi (Xiao Hubei), Oho Ou (Duan Wu), Du Chun (Xie Jinyuan), Zhang Cheng (Lei Xiong), Wang Qianyuan (Yang Guai), Jiang Wu (Lao Tie), Zhang Yi (Lao Suanpan); produzione: Huayi Brothers, Tencent Pictures, Beijing Enlight Media, Alibaba Pictures; origine: Cina 2020; durata: 147’; distribuzione: Notorius Pictures.