Noi due – Here we are di Nir Bergman

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Meltdown è lo stato nel quale il carico sensoriale di una persona con autismo supera il limite di sopportazione: il mondo ti è addosso e tu necessiti di protezione. Hai perciò bisogno di una persona che sappia come calmarti, qualcuno che ti conosca e possa prendere le giuste decisioni. Per te, ovviamente, non necessariamente per lui. Noi due – Here we are, per la regia di Nir Bergman, indaga la relazione padre-figlio richiamando quella de Il monello chapliniano, si corre allora tra leggerezza e profondità sullo sfondo un’assolata Tel Aviv e dintorni, con lo sguardo di una mdp attenta a inquadrare loro due e tutti coloro che intorno ai due gravitano.

Un ragazzo si ferma davanti alle porte scorrevoli. Il rumore dell’apertura e chiusura lo terrorizzano. «Mi schiacciano», dice. Il padre allora estrae un pennarello e disegna un bottone sul muro. È sufficiente schiacciarlo e le porte si apriranno. Il ragazzo lo preme e attraversa le porte scorrevoli. Il ragazzo, ventenne, si chiama Uri (Noam Imber), il padre Aharon (Shai Avivi), e i due vivono, come si accennava, a Tel Aviv. La loro vita è ormai oliata, fatta di viaggi in treno e in bicicletta, il computer con i film di Charlie Chaplin sempre a portata di mano, le stelline di pasta da mangiare e l’acquario con i pesciolini da sfamare prima di andare a dormire. Uri pone domande («Mi piace la maglietta? Mi piace il treno, papà?») e il padre risponde per lui, sposandone la retorica («Sì, Uri, ti piacciono»), almeno sino alla domanda più difficile: «Mi piace la casa nuova, papà?». Da Aharon nessuna risposta.

Difatti, Uri ormai è adulto e la madre pensa che sia il momento che entri in una casa comune con altri ragazzi. Dopo aver sacrificato una vita per il figlio, Aharon non è d’accordo, tuttavia non si oppone direttamente, almeno finché non è Uri stesso a non volerci andare. I due decidono di fuggire da tutti e da tutto, attraversando Israele tra amicizie e parentele, almeno finché i soldi durano, almeno finché le carte di credito non vengono bloccate, almeno finché il presente non viene a chiamarli…

Nir Bergman firma una regia attenta nel quale la mdp estende lo sguardo dei protagonisti e non, mostrando come loro due guardano il mondo e come il mondo guarda loro, inquadrando occhiate straniere a un pianeta lontano e tanto vicino, quello dell’autismo. Accompagnati dalla colonna sonora de Il monello, pimpante giocosa ciondolante, i due protagonisti sono messi brillantemente in scena dagli attori: se Noam Imber fa un lavorone nel ricreare reazioni e movenze della persona con autismo, Shai Avivi si concentra sugli sguardi di attenzione rivolti all’altro.

E così dalle scene di intimità familiare fino a quelle di intima violenza, quando il meltdown è alle porte, non si fa fatica a credere di stare assistendo a qualcosa di vero, violento, affettuoso. Perché alla fine è una questione di relazione, di chi non può fare a meno dell’altro, e non è detto che i ruoli siano scontati.

Noi due – Here we are è un film che affronta con intelligenza un rapporto particolare fatto di salvati e salvatori, con l’ambiguità delle posizioni. Ad avere cura di una persona si finisce per credere che non possa fare a meno di te, a quel punto qualcuno o qualcosa deve farti tornare al presente e rivelarti quale sia la verità. Magari, a farlo, è chi meno te lo aspetti, nel modo più semplice: domandando e facendo in modo che sia ancora tu a dargli la risposta. Quella giusta, e sì, quella più sofferta, ma che una risposta sia: «Sì, ti piace, Uri».

Dal 5 maggio al cinema


Noi due – Here we are (Hine Anachnu) – Regia: Nir Bergman; sceneggiatura: Dana Idisis; fotografia: Shai Goldman; interpreti: Shai Avivi, Noam Imber, Smadi Wolfman, Efrat Ben-Zur, Amir Feldman, Sharon Zelikovsky, Natalia Faust, Uri Klauzner, Avraham Shalom Levi; produzione: Spiro Films coprodotto da Rosamont; origine: Israele, Italia, 2021; durata: 94’; distribuzione: Tucker Film.

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