D’accordo la pandemia, ma si fa davvero fatica a capire che cosa abbia indotto il piccolo distributore italiano PFA Films a portare in Italia a due anni abbondanti di distanza dall’uscita nelle sale tedesche il secondo film della cinquantaquattrenne regista tedesca Ina Weisse L’audizione (in tedesco Das Vorspiel). In Germania il film ha ricevuto un’attenzione tutto sommato limitata, senza neanche entrare nella shortlist dei premi nazionali. È vero che il film era stato selezionato nel 2019 sia a San Sebastian che a Toronto, ma quanti film selezionati anche da importanti festival nelle sale europee non ci arrivano mai. Se poi teniamo conto che la quota di film tedeschi che arriva in Italia è assai limitata, appare difficile capire perché proprio questo film ce l’abbia fatta, a meno che la German Films (l’azienda incaricata di promuovere i film tedeschi all’estero) non ci abbia messo del suo. Azzardiamo un’ipotesi: pur girato in Germania (per lo più in una Berlino assai poco riconoscibile), il film è parlato in molte sue parti in francese, ruotando intorno a una coppia mista, lei tedesca (la violinista Anna interpretata dalla musa di Christian Petzold Nina Hoss, che – diciamolo fin da adesso – recita un po’ sempre la stessa parte) e lui francese (il costruttore e riparatore di strumenti ad arco, il liutaio Philippe, interpretato da Simon Abkarian, attore francese di origine libanese, neanche lui particolarmente memorabile) e dunque almeno in parte non viene percepito come un film tedesco, anzi come un film genericamente “europeo”.
Ciò che può esser sembrato di un qualche interesse è l’impianto diciamo così ossessivo del film che, fatte le dovute differenze, lo apparenta al film sulle sorelle Williams, interpretato da Will Smith (King Richard – Una famiglia vincente), d’altra parte il mondo della musica e quello dello sport presentano analogie: o si è eccellenti oppure si fallisce. Qua come là ci troviamo di fronte a un genitore/una genitrice che nevroticamente ha proiettato sul figlio/sulle figlie tutte le proprie frustrazioni, senza curarsi dei danni psicologici che va procurando ma che cerca attraverso i figli il riscatto da una vita non esattamente di successo. Nel caso di Anna siamo in presenza di una insegnante di conservatorio che in realtà avrebbe voluto esibirsi nel concertismo nazionale e internazionale, ma che da un certo punto in avanti comincia a soffrire di una patologia forse di origine nervosa e appunto deve riparare nell’insegnamento (diciamolo pure: c’è di peggio, ciò che attenua la mimesi dello spettatore/della spettatrice nei confronti dei traumi della protagonista).
Da qui inizia una duplice proiezione: nel figlio Jonas (Serafin Mishiev) che deve assolutamente studiare il (ed eccellere nel) violino malgrado, con tutta evidenza, prediliga l’hockey su ghiaccio che, come capiremo verso la fine, gli conferisce anche una discreta cattiveria che potrà tornargli utile; nell’allievo Alexander (Ilja Monti) dotato sì ma forse non così eccezionale, non così motivato come la sua insegnante vorrebbe credere e far credere; Alexander, fin dal cognome (Paraskevas), è figlio di una madre migrante, e quindi l’atteggiamento di Anna non è privo di implicazioni neo-colonialiste. Intorno a questa doppia largamente fallimentare proiezione ruota una quantità francamente insopportabile di sequenze, a dimostrazione che il vero problema di questo film è una sceneggiatura irrisolta e ripetitiva: quante sessioni di prova, quanti silenzi fra Anna e Philippe, quante inquadrature di Philippe che ripara strumenti etc etc.
D’accordo che Anna è danneggiata dalla sua patologia, dalla precoce perdita della madre, da un rapporto non esattamente idilliaco col padre scontroso e anaffettivo (un po’ come tutti i personaggi di questo film) ma un intero film a sorbirsi le espressioni sempre uguali di questa donna insoddisfatta, incapace di muoversi dal labirinto di relazioni fallimentari che ha costruito finisce per ingenerare fastidio, per ingenerare disagio che, non ne dubitiamo, la regista avrà senz’altro voluto causare negli spettatori ma la rappresentazione semi-fenomenologica di una condizione, a nostro avviso, non basta, a meno di non essere Antonioni o magari Haneke. Né la relazione quasi solo sessuale di Anna con il collega Christian (Jens Albinus) fornisce plausibili spunti per una via di uscita dal trauma. Il soundtrack, come sempre succede in questo tipo di film, la fa da padrone e, di nuovo, prova – secondo noi: invano – a colmare i buchi di sceneggiatura.
In sala dal 5 maggio
Cast & Credits
Das Vorspiel – Regia: Ina Weisse; sceneggiatura: Ina Weisse, Daphne Charizani; fotografia: Judith Kaufmann; montaggio: Hansjörg Weißbrich; interpreti: Nina Hoss (Anna), Simon Abkarian (Philippe), Jens Albinus (Christian), Ilja Monti (Alexander Paraskevas), Serafin Mishiev (Jonas), Sophie Rois (Frau Köhler); produzione: Lupa Film. Arte, Idéale Audience, Port-au-Prince Films, ZDF; origine: Francia-Germania 2019; durata: 99′; distribuzione: PFA Films ed Emme Cinematografica.