Mission: Impossible-The Final Reckoning di Christopher McQuarrie


Che cosa è successo a Ethan Hunt, l’eroe assoluto, in senso simbolico e psico/fisico, della saga di Mission: Impossible arrivata ormai all’ottavo film (The Final Reckoning, il quarto diretto da Christopher McQuarrie)? Non mancano sicuramente le parole per dirlo, visto che lungo i verbosissimi 170 minuti  più o meno tutti i personaggi di ogni ordine e grado (dal presidente degli Stati Uniti, rappresentato da una donna afroamericana in evidente specularità con la realtà, a Grace, la seducente gazza ladra conosciuta nel capitolo precedente) hanno il loro monologo riassuntivo/esplicativo. Ma la durata, come abbiamo detto, è molto lunga e lo spazio e il tempo per qualche pirotecnica e piuttosto appassionante scena d’azione ci sono, anche se l’impatto è tale solo se la fruizione avviene sul grande schermo cinematografico. Da questo punto vista, l’ultima iper cinetica autoreferenziale fatica di Tom Cruise ha un andamento che oscilla come i continui sbalzi di pressione tra le profondità dell’oceano e i picchi del cielo. L’apertura è sul faccione sul quale scorrono ancora lampi di un giovinezza topguniana con venature meno furiose e più quiete di Tom, tanto che sembra quasi che stia per annunciare un suo congedo; nel mentre scorrono in un rewind non cronologico frammenti dei film precedenti, mentre il classico messaggio che si autodistruggerà, con la voce che poi si scoprirà appartenere alla presidentessa interpretata da Angela Bassett, celebra con parole super elegiache il culto della personalità di Hunt/Cruise.

Non si tratta però di una dispersione nelle maglie di una memoria sovraccaricata e sovraeccitata di azioni, combinazioni, effetti speciali e coreografie in vera (e)motion, da Brian De Palma fino a un attimo prima di adesso (Dead Reckoning è del 2023). C’è ancora uno spazio per un download, che si annuncia finale, anche se poi certi dati e certe figure  continueranno ad apparire e a circolare per le strade delle città… Comunque di carburante per attivare la macchina da guerra in carne e ossa che è Ethan nel frattempo ce n’è: senza riportare tutti i ghirigori pseudoscientifici e apocalittici, basti dire che l’intelligenza artificiale divenuta senziente, tanto per restare sull’attualità e su possibili inquietanti sviluppi, conosciuta come l’Entità, che ha hackerato il cyberspazio e sta per impossessarsi degli arsenali nucleari delle più potenti nazioni del mondo, ha innescato il timer per mettere in atto l’Armageddon che  cancellerà l’umanità. L’unico modo per annientarla è recuperare il codice sorgente che l’ha generata, sepolto in un sottomarino russo affondato a sua volta nelle acque gelide di un punto sperduto nell’Oceano Pacifico. Intorno a questo nucleo, ruotano una serie di personaggi, dall’antagonista principale con ambizioni da padrone del mondo, il sanguigno e beffardo Gabriel,  ad agenti ed ex agenti della Cia prima contro e poi pro Hunt, fino alla sempre più ristretta sguarda di fedelissimi dell’IMF (Impossible Mission Force), Benjj Dunn e Luther Stickell. La densità della trama, nella sua accezione letterale visto che si tratta comunque di una storia di spionaggio, si traduce sul piano visivo, oltre che nella rete di fittissime spiegazioni, nella quantità di primissimi piani, quasi claustrofobici nella pienezza e strettezza dell’inquadratura, che preparano e allestiscono la scena di due lunge sequenze, una subacquea e una area, volte a sigillare, se ancora ce ne fosse bisogno, lo stigma di supereroe senza superpoteri di Hunt. La sua immersione nell’oceano alla volta del Sevastopol, il sottomarino da perlustrare, e la conseguente riemersione, sono da questo punto di vista emblematiche del lavoro fatto sul corpo dell’eroe divo: inizialmente bardato con tuta e maschera da sub militare altamente tecnicizzata per le missioni, appunto, impossibili, nel momento della risalita se ne libera per necessità ma anche per scelta; un processo di spogliazione che sembra volerne fare una specie di divinità pagana capace di interagire con le forze della natura, fino al limite tra il dominarle e il restarne dominato, con tanto di salvezza, anch’essa impossibile se affrontata con le ragioni della plausibilità, ritrovata nell’amore.

Un mix quantomeno irritante nella sostanza di un’esaltazione egotica abbastanza fuori tempo massimo, ma che sul piano visivo possiede i perché e i percome della potenza e della suggestione. Anche la parte di mezzo nei pertugi di metallo e circuiti off line invasi dall’acqua, senza parole o speculazioni, ha un’efficacia espressiva che riporta ad alcune situazioni chiave del cinema abissale e marino di James Cameron, senza i picchi poetici e trasfiguranti di The Abyss o Titanic (l’acqua come riflesso alieno e/o umano). Qui ci risvegliamo sempre con il faccione di Tom che dopo un (bel) po’ si ritrova alla resa dei conti con il citato villain Gabriel nella folle traiettoria incrociata di due aeroplani “analogici”, sfidando per l’ennesima volta la legge di gravità in un’ attitudine mitologica e divina (da Poseidone ad Icaro, che brucia le proprie ali/paracadute per aver osato troppo, forse). A un certo punto la sospensione  del principio di incredulità richiesta è tale che ad avere la meglio è il paradosso della realtà, un relativismo panteistico che trasforma la percezione della divinità in quella di un performer. Non si è più tanto interessati alla salvezza o meno del mondo o a quella di Hunt e  dei suoi amici (visto il tono generale, appare chiaro che se la caveranno tutti insieme appassionatamente, pur pagando con il sacrificio di uno di loro). E l’impiego del paesaggio, anzi del rapporto tra paesaggio e figura umana, a conquistare l’attenzione, e a rianimare con spettacolare vividezza il meccanismo d’intrattenimento altrimenti sbiadito. Uno strappo bigger than life dal respiro orgogliosamente e spudoratamente cinematografico dove un’auspicabile lettura meta-cinematografica può offrire l’interpretazione di un’esplicita messa in scacco della dimensione virtuale, straniante, falsificabile del digitale e delle sue piattaforme. Un’esperienza sensoriale attraversata nella sua totalità, non solo nella sua forma visibile. E le due sequenze raccontate centrano con efficacia questo intento, seppur sciupate da un’ inevitabile sensazione di déjà-vu transitata da tanti action movies e dalla stucchevole volontà di superare ogni volta i limiti dell’ (im)possibile.

Presentato al Festival di Cannes 2025 (Fuori Concorso)
In sala dal 22 maggio 2025.


Mission: Impossible- The Impossible Reckoning – Regia: Christopher McQuarrie; sceneggiatura: Christopher McQuarrie, Erik Jendresen; fotografia: Fraser Taggart; montaggio: Eddie Hamilton; musica: Max Aruj, Alfie Godfrey; interpreti: Tom Cruise (Ethan Hunt), Hayley Atwell (Grace), Ving Rhames (Luther Stickell), Simon Pegg (Benji Dunn), Vanessa Kirby (Alanna Mitsopolis / Vedova Bianca), Esai Morales (Gabriel), Angela Bassett (Erica Sloane, Presidente degli Usa), Henry Czerny (Eugene Kittridge), Pom Klementieff (Paris), Shea Whigham (Jasper Briggs), Frederick Schmidt (Zola Mitsopolis), Charles Parnell (capo NRO), Rob Delaney (capo JSOC), Indira Varma (capo DIA), Mark Gatiss (capo NSA), Greg Tarzan Davis (Degas), Mariela Garriga (Marie), Ivan Ivashkin (Comandante in seconda XO), Rolf Saxon (William Donloe), Holt McCallany (Bernstein), Nick Offerman (Sydney); produzione: Christopher McQuarrie, Tom Cruise per Paramount Pictures, Skydance, Media, TC Productions; origine: USA, 2025; durata: 170’; distribuzione: Eagle Pictures.

 

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