Questo è il suo territorio.
Non fare a tua figlia promesse che non puoi mantenere. Primo: se riguardano qualcuno che ti sta a cuore. Secondo: se riguardano qualcuno che sta a lei a cuore. Terzo: se la persona che vi sta a cuore, e che riguarda la promessa, sei tu stesso. Il rischio è quello di non sopravvivere, metaforicamente e letteralmente, alla parola data. Beast, per la regia di Balthasar Kormákur, è un survival movie con movenze horror ambientato nel Sudafrica esotico, quello dei safari e dei leoni appollaiati sulle rocce a sbadigliare. Il leone però non rimane lassù e scende, portando con sé quel carico di violenza e ferocia che, tinto dai caldi e umidi colori africani, spacca la pellicola. Il prodotto è credibile, le scelte registiche sono a tratti insistite ma efficaci, in alcuni casi sperimentano sino a ingannare piacevolmente lo spettatore. Ne esce un buon lavoro, con una domanda a mo’ di retrogusto che non fa mai male.
Nate (Idris Elba) è medico e la morte l’ha sentita bussare alla porta dei propri pazienti per tutta la sua carriera. Un giorno ha bussato alla porta di casa e lui non ha sentito, quando se ne è reso conto era troppo tardi perché aveva perso moglie di fatto e le figlie, Mare e Norah, in potenza. Per evitarlo c’è il Sudafrica. Il ritorno alle origini. Nel continente nero aspetta la famiglia Martin, amico di una vita e tracker esperto che li porta in un escursione per la savana. Durante il viaggio però qualcosa non va. Un villaggio viene trovato spolpato fino all’osso e lo spolpatore non aspetta troppo a fare la sua comparsa. È un leone che difende il suo territorio dai bracconieri e la famigliola è finita in mezzo a questo scontro. Toccherà allora sopravvivere, e Nate dovrà salvare le figlie e se stesso per salvare qualcosa di più intimo e profondo: la fiducia che si ha nel proprio padre. E questa volta non può sbagliarsi perché a bussare alla porta è di nuovo la morte, e bussa forte, a colpi di zampa e zanne.
Balthasar Kormákur firma un film che mescola thriller e horror, o meglio, mantiene lo slancio del thriller e ne interpola all’interno situazioni di suspense orrifiche. Lo sfondo è quello dell’Africa che tutti noi abbiamo negli occhi, e che quindi è sottoposta a stereotipo, quella dei safari e dei fucili e dei bracconieri, come degli animali che stanno placidi a guardare il mondo umano che va a esplorarli e osservarli. Salva in parte lo stereotipo una fotografia ben fatta, definita, che riesce a creare, nella vastità della savana, quella claustrofobia necessaria perché la pellicola avvolga e stritoli i suoi protagonisti. Il regista cerca di creare un proprio linguaggio fatto di piani sequenza, alcuni complicati e articolati, e se il numero di questi potrebbe sorprendere, e far pensare a un vezzo stilistico, è però onestà critica riconoscere come l’utilizzo sia speso a favore dell’azione e che quindi rinforzi il prodotto finale. Lo stesso si può dire per i tagli durante i dialoghi, rivolti all’ascoltatore e non al parlante, come per l’effetto pesce, sfumato, che connota i sogni.
Idris Elba è credibile nella parte dell’uomo diviso tra i doveri da medico e quelli da padre, con i primi ad aver sorpassato i secondi e quindi con la necessità di sistemare le gerarchie in gioco per riparare ai torti fatti in seno alla famiglia. Certamente il recupero, e la ricomposizione famigliare, pressoché un topos narrativo del genere horror, è un affare sofferto che vede il protagonista doversi calare nelle dinamiche anch’esse tipiche del genere. Così è lo scontro finale con il cattivo. Perché c’è ovviamente anche lui, il cattivo, colui che deve far da contraltare a Elba e reggere così l’intera pellicola. Si evita un cattivo che non sia credibile, il leone è un leone, essenzialmente una bestia, al massimo con la B maiuscola come nel titolo, e di anormale ha solo la tenacia che si richiede al personaggio antagonista. Per quanto riguarda l’aspetto si apprezzi il buon uso della CGI: l’effetto che ne esce è buono, solo in qualche caso gli effetti speciali peccano e si ha l’impressione di stare vivendo più un videogioco che un film, eppure tant’è.
Fare un thriller brutto è difficile, così come è difficile fare un thriller bello. Ci sono delle vie battute, è sufficiente seguirle per non sbagliarsi, come è ‘sufficiente’ infrangerle per fare un gran bel fallimento o una gran bella opera d’arte. È questione di calcolo di rischio, è questione di calcolo d’impresa. E Beast, almeno per quanto riguardano i termini narrativi, non rischia. Sperimenta certamente nelle scelte registiche regalando dei buoni momenti, non sgarra e non fa errori banali, costruisce delle dinamiche famigliari efficaci che sostengono il prodotto e cozzano decentemente con il cattivo. A proposito del cattivo si spezzi una lancia a suo favore. Inquadrandola all’interno dell’eterna lotta uomo-natura, la Bestia ha la scusante della difesa e l’uomo l’aggravante dell’accusa. Insomma, chi è più cattivo? L’uomo o il leone? L’uomo o l’animale? Ce lo si chieda, ma al contempo si ricordi, e il finale lo sottolinea, che è sempre questione di territori. E vale anche, soprattutto, per gli animali stessi. È la legge della giungla, insomma.
In sala dal 22 settembre
Beast – Regia: Baltasar Kormákur; sceneggiatura: Ryan Engle; fotografia: Philippe Rousselot, Baltasar Breki Samper; montaggio: Jay Rabinowitz; musica: Steven Price; interpreti: Ronald Mkwanazi, Thapelo Sebogodi, Tafara Nyatsanza, Martin Munro, Iyana Halley, Liyabuya Gongo, Leah Jeffries, Kazi Khuboni, Chris Gxalaba, Thabo Rametsi, Mduduzi Mavimbela, Naledi Mogadime, Chris Langa, Idris Elba, Sharlto Copley; produzione: RVK Studios, Will Packer Productions, Universal Pictures; origine: Islanda, Stati Uniti, 2022; durata: 93’; distribuzione: Universal Pictures.