Bussano alla porta di M. Night Shyamalan

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Close-Up se ne è occupato spesso nel corso dei tempi e comunque va ribadito subito che il cinema di  M. Night Shyamalan è sempre estremamente riconoscibile: l’ironia e la suspense in rapporto dialettico tra loro, l’utilizzo dell’inquadratura sghemba, la posizione della camera, sempre alla ricerca di quella tensione visiva che, citando un suo personaggio in The Visit (2015), “costringe lo spettatore a guardare oltre all’inquadratura”. Il suo è cinema d’autore e la sua stessa carriera è una bellissima parabola: parte con un film a basso budget, in veste di attore, regista e produttore (Praying with Anger, 1992, mai distribuito ma reperibile su YouTube), arriva al successo con Il Sesto senso (1999) e The Unbreakable  (2000), cerca di rinnovare generi e stilemi con Signs (2002) e The Village (2004), continua ad esplorare il campo con due opere leggermente irrisolte come Lady in the water (2006) ed E venne il giorno (2008), se si vuole anche notevoli, ma un po’ confuse ed eccessivamente autoreferenziali.  L’ultimo dominatore dell’aria (2010) invece è decisamente un passo falso, e qui tocca il fondo. Poi però, arriva il già citato The Visit, un grande horror che cerca di dire qualcosa di nuovo all’interno del genere del found footage  – è dai tempi di REC diretto nel 2007 da Jaume Balagueró e Paco Plaza che vediamo sempre riproposte le stesse quattro idee. Segue l’ottimo Split  (2016) e il discreto Glass  (2019) con cui chiude la trilogia cominciata con Unbreakable, esempio preziosissimo di cinecomic al di fuori dal canone Marvel e DC. Prosegue, infine, con Old (2021), film riuscito a metà, forse troppo ambizioso, ma ancora una volta, le idee e lo stile ci restituiscono l’identità del suo stile, vivo ed originale. 

Bussano alla porta, la sua nuova opera, tratta dal romanzo di Paul G. Tremblay  The Cabin at the End of the World, si presenta in maniera enigmatica, ma impiega poco a mettere le carte in tavola: una famiglia, composta da due papà e la loro bambina, in vacanza presso una baita; fuori dall’abitazione compaiono quattro strani individui, capitanati da un mellifluo energumeno che si fa chiamare Leonard (Dave Bautista), si avvicinano e hanno un aria poco rassicurante, quali siano le loro intenzioni non è chiaro, ma vogliono qualcosa da quella famiglia, ed entreranno in quella casa, con le buone o con le cattive. Vi ricorda qualcosa? Già, la premessa è la stessa di Us, il capolavoro di Jordan Peele del 2029, ed esattamente come in quel caso, c’è qualcosa di più complesso dietro alle motivazioni dei “cattivi” di turno, qualcosa che vi costringerà più volte a mettere in discussione la versione dei fatti che si sta formando nella vostra testa. Non sveliamo altro della trama, il divertimento della visione sta proprio nello sviluppo degli eventi. Vi basti sapere che tutta la vicenda ruota attorno ad un sacrificio, una scelta inevitabile ma terrificante, che potrebbe cambiare il destino di molte persone. 

Shyamalan è tornato a fare ciò che gli riesce meglio, perfettamente padrone del gioco, diverte e si diverte, creando un’atmosfera elettrica sempre in bilico tra prevedibilità ed incertezza. Trova il coraggio di giocare con le convenzioni di genere e riuscire a schivare trappole fin troppo insidiose. Rinuncia al sangue e ai jumpscare (il libro abbonda di dettagli truculenti, mentre qui le uccisioni avvengono quasi sempre fuori campo) e preferisce dosare la tensione tramite il ritmo e le inquadrature. Quasi completamente girato all’interno della baita, a turno i quattro individui si presentano, tramite conversazioni composte da primi e primissimi piani ad asse inclinato, con attori che quasi guardano in camera, creando un senso di spaesamento notevole. 

Mentre Old esplorava la profondità di campo e sfruttava la spiaggia come teatro a piani multipli, creando un paradossale senso di claustrofobia in uno spazio aperto, qui sono il dettaglio e l’inquadratura ravvicinata a dettare legge: i primi piani, ripresi con diaframma aperto a livello tale da sfocare sempre una parte del viso, si tramutano in vasti paesaggi che annullano le coordinate spaziali. La rabbia, la rassegnazione, l’innocenza, tutto scritto sui volti dei personaggi, ma soprattutto il terrore dell’ineluttabilità di ciò che dovrà accadere, reso sempre più imminente dai primissimi piani, insistiti, su Dave Bautista, mentre pacatamente illustra ai malcapitati la sorte dell’umanità. 

Dave Bautista

Forse non è un film perfetto, le personalità dei due papà sono un po’ piatte, la scelta di Dave Bautista come villain può lasciare perplessi (noi, però, lo promuoviamo a pieni voti), la tensione iniziale non rimane tale per tutta la durata, ma è un graditissimo segnale di forma. Bussano alla porta è un piccolo film che sperimenta, risulta ben congegnato e ricco di idee, da vedere in sala, confermando per l’ennesima volta la solidità autoriale del nostro. Shyamalan non ha, dunque, perso lo smalto. Consigliato.

Ps.: Immancabile anche un cameo – estremamente buffo – del regista, in linea con la tradizione del suo cinema e di quello di uno dei suoi maestri, Alfred Hitchcock. Per scovarlo, non vi resta che andare a vederlo.

In sala dal 2 febbraio 2023


Bussano alla porta (Knock at the Cabin)- regia: M.Night Shyamalan; sceneggiatura: M. Night Shyamalan, Steve Desmond, Michael Sherman, (tratto dal libro The Cabin at the End of the World di Paul Tremblay); fotografia: Jarin Blaschke, Lowell A. Meyer; musica: Herdís Stefánsdóttir; interpreti: Dave Bautista, Jonathan Groff, Ben Aldridge, Nikki Amuka-Bird , Rupert Grint, Abby Quinn, Kristen Cui; produzione: Blinding Edge Pictures, Wishbone Entertainment Inc.; origine: Stati Uniti, 2022; durata: 100 minuti; distribuzione: Universal Pictures.

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