Avvocata Woo di Yu In-Sik

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Quando ci si introduce alla filmografia afferente ad una determinata epoca, cultura, o area geografica, ci sono sempre nuove dinamiche e codici testuali, visivi, narrativi, a cui bisogna abituarsi, e che è necessario comprendere. Ad esempio, l’educazione alla visione del cinema di Bollywood richiede inizialmente la comprensione di dispositivi visivo/narrativi, fatti di musica e balli, ben diversi da quelli a cui siamo comunemente abituati; il cinema d’azione di Hong Kong, con quelle fantastiche scene d’azione, montate e riprese con principi completamente differenti rispetto alle controparti americane; l’universalità e la grande forza simbolica nell’utilizzo di attori bambini nel cinema iraniano; l’impostazione pedagogica del cinema africano, e così via.
I K-Drama (le serie Tv di origine sudcoreana) non fanno eccezione: innanzitutto tendono ad attenersi ad una formula precisa e collaudata, una certa rigidità schematica, fatta da elementi narrativi ricorrenti, che potrebbero venire interpretati erroneamente come una mancanza di innovazione. C’è poi tutto l’aspetto del romance, che, quando presente, è costituito da cliché tipici, come un incontro di sguardi, o un libro raccolto da due mani che si toccano, le relazioni stesse sono molto caste, quasi platoniche, tutto questo potrebbe apparire ad un pubblico eurocentrico (ed americano) come estremamente pudico, ma sono aspetti usuali nella società coreana: c’è molta meno propensione al contatto fisico, il ché si riflette in una differente rappresentazione delle dinamiche relazionali.
Questi elementi, unito ad un certo tono favolistico a tratti esasperato, potrebbero, e sottolineo potrebbero, inizialmente lasciare perplessi. Itaewon Class, uno dei più celebri esempi di K-Drama popolare, un’epica saga fatta di scontri, vendette, amicizia e rivalsa, contiene all’interno di ogni puntata almeno tre momenti romance, siparietti romantici che spezzano il ritmo, e risultarono, per chi scrive, inizialmente abbastanza indigesti. A Korean Odyssey, altra saga fantasy dall’ampio respiro spinge fortissimo sull’aspetto romance. In quel caso si arriva addirittura ad inficiare la visione e rendere difficile il proseguimento, nonostante si tratti di un’opera di indubbio valore.
Ebbene, Avvocata Woo tende invece a bilanciare bene tali elementi, rendendo la visione gradevole da subito anche ad un palato occidentale.
La protagonista, una ragazza ventisettenne nello spettro dell’autismo con sindrome di Savant (si, esattamente come Shaun Murphy nella celebre serie The Good Doctor), Woo Young-woo è la giovane avvocata più brillante di Seoul: laureatasi a pieni voti presso una prestigiosa università, comincia il suo apprendistato presso un importante studio di avvocatura. Dovrà farsi valere superando pregiudizi, ma anche trattamenti di favore, e tantissimi altri piccoli atteggiamenti da parte di chi la circonda, che contribuiranno a ricordarle la sua diversa condizione.
Unendo l’impostazione di court drama al racconto di piccoli spaccati di vita quotidiana, veniamo introdotti allo strano mondo della protagonista, fatto di piccoli rituali, una curiosità inesauribile per il mondo dei cetacei, ed uno strenuo tentativo di codificare l’ambiente e gli atteggiamenti delle persone che la circondano.
Ogni puntata viene scandita da un caso, e segue più o meno sempre la stessa struttura narrativa, che culmina con una intuizione fulminante della nostra avvocata, rappresentata da una specie di visione in cui compaiono i cetacei preferiti nuotare nell’aria.


Le tematiche affrontate sono varie, alcune anche molto interessanti dal punto di vista sociale, un paio di situazioni sfociano nell’ingenuità infantile, ma la serie non si tira indietro quando si tratta di affrontare di petto certe tematiche. Un ottimo esempio è la puntata This Is Pengsoo dove Young-Woo deve indagare su un omicidio il cui unico testimone è il fratello autistico della vittima: mostrando la discrepanza tra i due, riesce molto efficacemente ad illustrare il fenomeno dell’autismo come spettro. Holding hands can wait, invece, forse uno degli episodi più coraggiosi, sì fa carico di illustrare una vicenda ambigua in cui un uomo rischia l’ergastolo per avere adescato una donna con disabilità, mentre in realtà i due sono effettivamente innamorati. L’estremo interesse delle tematiche, la vivacità dei dialoghi, e la tensione narrativa fanno sembrare gli episodi sempre troppo brevi, nonostante la durata di un’ora e passa.

Avvocata Woo se la cava egregiamente nel raccontare ogni vicenda in maniera leggera e senza pretese, trovando la chiave perfetta per diventare una serie da guardare un episodio dopo l’altro, grazie alla freschezza dei dialoghi e a quell’ingrediente tutto particolare tipico dei K-Drama, fatto di prevedibilità e situazioni buffe, ma capace però di affondi a tradimento con passaggi piuttosto brutali. Questo è esattamente l’aspetto più affascinante di queste opere: momenti di apparente quiete e garbo formale uniti a violente ed inaspettate virate improvvise.
L’interpretazione di Park Eun-bin risulta coerente ed efficace, il personaggio suscita talvolta fin troppa tenerezza, ma è ben mitigato dalla tragicomica figura del padre (Jeon Bae-su), eroico e sventurato, attraverso la sua esperienza vengono ben descritti i tormenti, lo sconforto e la frustrazione di chi si trova ad essere legato emotivamente con soggetti nello spettro.
Il vero segreto dell’ottimo risultato della serie però, oltre alle vicende e al protagonista, risiede nel cast di comprimari. Ed è qui che Avvocato Woo brilla maggiormente: l’equipe e i colleghi, a cui si vuol bene sin da subito, i secondi fini del capo dello studio di avvocatura ed il suo rapporto ambiguo con Young-Woo, il conflitto interiore rappresentato dalla madre, l’istinto di protezione della collega ed amica, il senso di inferiorità e di invidia che provoca il talento di Young-Woo in un collega. Quando la serie si sposta su queste vicende collaterali diventa addirittura più appassionante, trasformando ogni tassello in un elemento fondamentale alla riuscita complessiva. Poco importa se lo sviluppo di certi aspetti viaggia sul binario della prevedibilità, e se i personaggi, alla fine, risultano tutti brave persone, non dimentichiamo che la serie non ha mai cercato di camuffare la sua natura favolistica e di questo bisogna tener conto.

Altro punto a favore di Avvocata Woo, e qui parliamo di logiche produttive vere e proprie, è quella di avere un unico regista, Yu In-Sik (autore di serie TV di ottimo livello come Giant e Baegabondeu), che permette una coerenza interna, narrativa e stilistica, molto più solida. Al contrario, quasi sempre, nei classici esempi americani, dove i registi si succedono da una puntata all’altra (come accade in The Good Doctor per rimanere sul tema dell’autismo), una serie può venire diretta da più di 10 differenti registi: appiattimento e perdita di personalità del prodotto sono le conseguenze inevitabili di questo approccio, ideato per sfornare prodotti velocemente ed in serie, omologati, progettati per andare avanti all’infinito con nuove sottotrame e nuovi personaggi. I K-drama, d’altro canto, fino a poco tempo fa tendevano ad avere una regola piuttosto rigida per contenere la loro storia in una sola stagione da 10, 16, massimo 24 episodi. Sebbene ce ne siano alcuni che hanno più stagioni, si trattava di una rarità.
Per esempio, Hwang Dong-hyuk, autore ed ideatore di Squid Game, dopo il successo planetario della serie, si è detto incerto su una seconda stagione (impiegò circa nove anni per scrivere la prima), dichiarando che la farà “se avrà l’idea giusta”. E’ chiaro che nelle intenzioni originarie dell’autore non c’era nessuna volontà di proseguire. Ma ora Netflix sta ampliando enormemente i suoi investimenti sul mercato sudcoreano: il fatto che per entrambe le serie, sia Avvocata Woo sia Squid Game, sia stata confermata una seconda stagione, la dice lunga sul modello produttivo che sta prendendo il sopravvento.
Un’ultima considerazione, se cercate una rappresentazione realistica e non stereotipata dell’autismo, probabilmente rimarrete delusi da questa serie, ce ne sono altre che potrebbero fare maggiormente al caso vostro. In tutti gli altri, invece, Avvocata Woo rimane un drama da vedere tutto d’un fiato.

Su Netflix


Avvocata Woo (Extraordinary Attorney Woo) – Regia: Yoo In-Shik; sceneggiatura: Moon Ji Won; musica: Noh Young-shim; montaggio: Jo In-hyung, Lim Ho-cheol; cast: Park Eun-bin, Kang Tae-oh, Kang Ki-young, Jeon Bae-soo, Ha Yoon-kyung, Joo Jong-hyuk, Joo Hyun-young; produzione: AStory, KT Studio Genie; origine: Corea Del Sud; anno: 2022; durata: 64-82 min (16 episodi); distribuzione: ENA, Netflix

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