Freaks out di Gabriele Mainetti

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Ve lo ricordate Bastardi senza gloria (2009, https://www.closeup-archivio.it/bastardi-senza-gloria)? Ovvio che ve lo ricordate. Ora, rimescolate le carte del mazzo e appoggiate il mazzo sul diroccato tavolo da gioco dell’Italia fascista. Dividete il mazzo e pescate la terza carta a partire da destra: prendete l’eterea Shoshanna Dreyfus tarantiniana, datele i superpoteri e gettatela nel mucchio. Poi cercate il jolly – chi altri potrebbe essere, se non il grottesco Colonnello Hans Landa? – e, una volta trovato, avvitate al suo polso una mano con sei dita. Fategli indossare un cappello buffo e ponetelo alla guida di un imponente circo berlinese. Potremmo continuare all’infinito, ma siamo sicuri che abbiate capito l’antifona.

Con ogni probabilità, è così che funziona la mente di Gabriele Mainetti con i tanti suoi riferimenti cinefili che impreziosiscono il film. Che il giovane regista fosse uno spericolato acrobata dell’immagine in movimento, dovevamo già intuirlo ai tempi di Lo chiamavano Jeeg Robot (2015, https://www.closeup-archivio.it/lo-chiamavano-jeeg-robot), sorta di Marvel in vernacolare dagli accenti farseschi.

Passato in Concorso al Festival di Venezia, Freaks out è la seconda opera di un cineasta talmente imprudente da permettersi addirittura di lasciare un seg si muove sullo sfondo di una Roma inverosimile, sepolta fra le ombre sature delle macerie sopravvissute ai bombardamenti. Corre infatti l’anno 1943. La guerra ci coglie di soprassalto, interrompendo uno spettacolo dai toni magici: il direttore Israel (Giorgio Tirabassi), Fulvio (l’ex Enzo Ceccotti Claudio Santamaria, qui trasferitosi in un passato fuori dal comune), Mario (Giancarlo Martini), Matilde (Aurora Giovinazzo) e Cencio (Pietro Castellitto) fanno parte dell’ingarbugliatissimo Circo due piotte, uno squattrinato baraccone in cui avvengono miracoli.

All’inizio non ci crediamo, poi l’evidenza irrompe sul grande schermo e ci porta ad osservare con stupore le lucciole librarsi ad un semplice ordine, le lampadine accendersi come piccoli fuochi, gli oggetti animarsi in solitudine. Cose da pazzi, cose che succedevano solo nelle più ardite fantasmagorie di Georges Méliès, cose che ci ricordano l’inizio del Secolo, quando tutto era più facile e l’universo ancora conservava il suo candore. Ma la Storia ufficiale ha scelto strade ben diverse, e in men che non si dica la bizzarra famigliola è costretta a separarsi: tentando la fuga verso il Nuovo Mondo, Israel viene catturato dai nazisti e caricato su un treno della morte in partenza per la Germania. Questa sorta di anziano Giobbe dallo sguardo saggio e dal tocco gentile si farà da parte nel giro dei primi venti minuti, il suo scopo è quello di fungere da moto propulsore ai Fantastici 4 del secondo conflitto mondiale.

Entra dunque in scena quella cara e vecchia industria dei supereroi già ampiamente vagliata con Jeeg Robot e trasposta, questa volta, nell’ante litteram per antonomasia – ovvero, fra i bombardamenti dell’occupazione. Il regista, con l’aiuto del fido sceneggiatore Nicola Guaglianone, tira fuori dal famigerato mazzo la cosa (o l’incedibile Hulk, è uguale), la battezza Fulvio e la getta in mezzo alla mischia: se non è genio, questo, allora cos’è? Poi è il turno di Mario, una calamita vivente dai modi un po’ naif (e un po’ morbosi). Non dimentichiamoci di Cencio, un domatore d’insetti albino e sboccato. Ma la regina assoluta dello stravagante solitario è senza alcun dubbio Matilde, la ragazza elettrica dai trascorsi oscuri e dall’indole fragile. Gli scalcagnati eroi dovranno vedersela col il solito cattivo, temibile Franz (Franz Rogowski, reduce da Undine di Christian Petzold, vedi https://www.closeup-archivio.it/undine), Führer mancato e capo di una grandiosa chimera chiamata Zirkus Berlin.

Mainetti segue il metodo-Tarantino e crea dimensioni parallele in cui manipolare felicemente i tempi e gli spazi – che si tratti dell’Italia anni ‘40, dell’America schiavista o della lussureggiante Hollywood percorsa da Charles Manson e da Sharon Tate. La cinepresa cambia il corso dell’umana esistenza, e dona verosimiglianza all’inverosimile: è proprio tale principio che porta Israel a formare la sua banda di pazzi o che spinge Franz (forse l’unico vero folle dell’allucinata fiaba) a parlare con il futuro in persona (qui manifestatosi nei panni di uno smartphone o di una cover dei Radiohead). L’effetto è grottesco, lo scontro finale ci riporta in mente il Vietnam da Luna Park già intravisto in Tropic Thunder (2008) di Ben Stiller,  il colossale sarcasmo con cui il regista prende in giro i simboli cardine dell’ipocrita magniloquenza fascista ricorda l’ironia distruttiva e provocatoria già utilizzata da Dany Levi nel suo controverso Mein Führer – La veramente vera verità su Adolf Hitler (2007). Come in ogni parodia che si rispetti, le persone lasciano il posto ai personaggi: così, il soldato è stupido per sua stessa definizione, e il matto ha il potere eversivo di assumere qualsiasi abilità il giocatore intenda conferirgli. La satira allestita da Freaks out brucia come i suoi protagonisti: all’epilogo ci sentiamo stanchi, spossati, sfiniti – eppure, in un certo senso, salvati.

In sala dal 28 ottobre


Cast & Credits

Freaks out – Regia: Gabriele Mainetti; sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Francesco Di Stefano; interpreti: Claudio Santamaria (Fulvio), Aurora Giovinazzo (Matilde), Pietro Castellitto (Cencio), Giancarlo Martini (Mario), Gianni Parisi (Carlo), Giorgio Tirabassi (Israel), Franz Rogowski (Franz); produzione: Lucky Red (Andrea Occhipinti), Goon Films, Rai Cinema; origine: Italia, Belgio 2021; durata: 141’; distribuzione: 01 Distribution.

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