“Quando racconto una storia, per qualsiasi film, ho sempre una crisi” – Intervista a Daniele Ciprì

Qual è la linea che tu e il regista Gianluca Iodice avete seguito per costruire l’imma all’interno de Il Cattivo Poeta (https://close-up.info/1416-2/)?

Daniele Cipri: Innanzitutto, per me, girare un’opera prima su Gabriele D’Annunzio  è stato un regalo. Quando mi è stato proposto ero veramente felicissimo, sia perché era un film su un poeta maledetto, ma anche ci siamo potuti ispirare al cinema da Bertolucci in poi: un cinema che è già stato fatto. L’illuminazione mi è venuta quando mi son recato al Vittoriale per la prima volta: lì ho imitato la luce che si creava dentro casa. D’annunzio si era chiuso all’interno della sua dimora un po’ alla maniera di Dracula, dove all’interno aveva il luogo dell’intervallo, quello della musica, si era fatto addirittura costruire una nave durante il periodo fascista. Era comunque un uomo che si era isolato, era contrario a tutta una serie di scelte politiche di quegli anni, di Mussolini. Ho visto le luci di incidenza: il Vittoriale ha molte finestre e nelle parti più buie aveva una specie di conchiglie con delle lampadine all’interno, anche in maniera un po’ kitsch, nascoste all’interno, che continuavano il sottotono della luce proveniente da esse. Ad esempio, anche i mobili erano scuri. Da lì, ho avuto l’idea di illuminare tutto il Vittoriale dall’esterno, intervenendo poco all’interno.

Il film si avvale di una costruzione di un’immagine antica: ha luce, ma solo quella necessaria. In più, ho utilizzato delle ottiche “preistoriche”, le Kowa, che avevo adocchiato all’interno del film di Lady Gaga in concerto. Questo tipo di ottica distorce l’immagine e la rende, appunto, antica. Avevo visto un sacco di documentari sul Vittoriale e non volevo assolutamente riprenderlo per quello che è: desideravo invece evocare il periodo del poeta.

Ovviamente, anche i costumi mi hanno aiutato molto in questo. Volevo praticamente, raccontare D’Annunzio chiuso in questa enorme scatola, che non è altro che la sua casa. Per raccontare il fascismo, ho invece utilizzato delle ottiche sferiche comuni, nuove, le Zeiss: rispettavano la geometrie di allora; tramite queste ultime, ho raccontato il Palazzo Venezia, interno ed esterno con tutte quelle colonne dritte. Ho compiuto una sorta di miscuglio tra l’evocazione di un periodo e quella della geometria e dell’ordine del fascismo, un po’ alla De Chirico, oserei dire. Tutto ciò è avvenuto per una crisi.

Quando racconto una storia, per qualsiasi film, ho sempre una crisi: non amo far sentire la mia presenza quando intervengo nella gestione delle luci. La crisi, poi, costruisce l’idea. In questo caso, la crisi è sopraggiunta nel vedere gli spazi del Vittoriale ripresi da centinaia di televisioni nazionali ed estere La trama, inoltre, è straordinaria: si tratta di un film esordio. E’ stata una scelta coraggiosa da parte della casa di produzione Groenlandia. La Rai ha atteso il termine del periodo Covid per farlo uscire proprio in sala. E’ un film pensato per la sala. Personalmente, non riesco ad innamorarmi quando un film si limita ad imitare la vita di un personaggio. Mi capita raramente. Mi accadde, invece, da piccolo in Un uomo chiamato cavallo (A Man Called Horse di Elliot Silverstein, 1970). D’Annunzio rischiava di cadere in questo limite, tant’è vero che il grandissimo Sergio Castellitto si è inventato delle formule per rappresentare un D’Annunzio sofferto: si è rinchiuso anche lui in se stesso, si è tagliato i capelli a zero, ha studiato le sua camminate, le sue cadute, esse stesse simbolo del suo declino. Sono stato lieto di prender parte a questo lavoro.

Si tratta di un lavoro per niente semplice se andiamo a vedere tutto il materiale che si condensa ne Il Cattivo Poeta: dalla ricostruzione storica del periodo raccontato a quella inerente la psicologia dei due protagonisti. Era facile cadere nello stereotipo, specialmente con il personaggio di D’Annunzio.

Infatti, il regista, Gianluca Iodice, aveva questo timore.  Tuttavia, già in sceneggiatura, esso non esisteva grazie al gran lavoro realizzato. Sono state girate delle scene esteticamente perfette ma che alla fine ha preferito non inserire all’interno del film. E io gli ho dato ragione. Erano proprie quelle relative agli anni del sesso e dell’amore di d’Annunzio. C’era il rischio di cadere nello stereotipo già visto dalla serialità e dalla tv.

Ha, inoltre, scelto di raccontarlo attraverso la figura di Giovanni Comini, che era quasi innamorato di lui. Resta comunque un film politico, quasi alla Bertolucci. Ringrazio sempre gli autori che mi cercano per dei film che mi appartengono, non a livello politico, ma come modo di immaginare le cose. Ci sono, purtroppo, molti registi che pensano solo alla tecnica, a come muovere la macchina. Un aspetto molto importante, invece, è proprio la drammaturgia delle immagini, che non sono solo tecnica bensì anche anima. Si sente quando un film è girato con l’anima. Così come si sente quando è realizzato tecnicamente. Molti illuminano le scene pensando alla tecnica, perché non hanno la conoscenza del cinema “disgraziato”, bensì hanno altri riferimenti fotografici: quelli di Instagram, per intenderci. Il cinema europeo di una volta era composto da uomini pensanti. Gianluca Iodice è un regista giovane, ma che ama il cinema. Il padre gli faceva vedere molti film e oggigiorno ha una grande videoteca virtuale. Ha anche realizzato il backstage de La Grande Bellezza. Ha un amore incredibile verso il cinema di una volta e questo lo aiuta molto in quanto è quello che suggerisce idee.

Credo che questo sia stato il primo che film che ha utilizzato come location realmente il Vittoriale e come “props” gli oggetti personali di D’Annunzio.

Non te lo so dire, ma immagino di sì, dal momento che non è stato facile avere a disposizione il Vittoriale. Abbiamo promesso che non avremo rotto nulla: ho avuto operatori e tecnici estremamente bravi. Ho avuto dei tempi che mi hanno consentito di essere delicato negli spostamenti. Il film che avevamo come punto di riferimento era Il Conformista di Bernardo Bertolucci, forse il più bel lavoro fatto da Vittorio Storaro. Il Vittoriale è uno dei protagonisti, è un’anima. Senza di esso non avrei realizzato quel tipo di fotografia. Abbiamo dovuto anche cancellare con la tecnologia gli allarmi. Ha ragione Sergio Castellitto quando in un’intervista ha specificato “con il Vittoriale”. Nel film vediamo tutto come era veramente in quel periodo: il camerino di D’Annunzio, il letto, i tavolini Tutto ciò che è nel film è, dunque, al tempo stesso, “con D’Annunzio”.

Parliamo della scena della nave, probabilmente una delle più belle.

Avevo già visto delle scene della nave girate coi droni. Li ho proibiti: non ho realizzato una sola inquadratura tramite essi. Ho preferito delle inquadrature con la camera che si muove poco. Lo spettatore vive tantissimo il luogo della nave tramite i due protagonisti e il lungo dialogo. La spettacolarizzazione con vedute dall’alto non servivano. Questo per riallacciarmi al discorso precedente. Abbiamo costruito anche questa scena come se fosse un film antico.

L’idea di impostare il film in capitoli è stata una scelta consolidata già in sceneggiatura o, successiva, in postproduzione?

Erano necessari per definire i tempi, altrimenti il film sarebbe durato 5 ore. Mi piacciono queste formule, del vecchio cinema. Sono felice che abbia vinto molti premi e che sia andato bene in sala. Sono anche lieto del fatto che la RAI ci abbia subito creduto. D’altronde non era ancora stato girato un film su D’Annunzio dove vi è riportata un’analisi. C’erano solo delle storie su di lui.

Tra l’altro, in questo caso, D’Annunzio viene raccontato tramite un altro personaggio: quello appunto di Comini. Nel film, viene presentata l’evoluzione della psicologia delle due figure. Poi, è emblematica proprio la scena della nave dove i due arrivano ad una consapevolezza, uno attraverso l’altro, Non a caso sono posizionati speculari, seduti uno davanti l’altro.

Esatto. Ci si potrebbe pensare che sia facile girare un film su un personaggio storico. Non è affatto così. Bisogna lavorare tanto per sottrazione.

Ti sei preparato leggendo le lettere che scriveva Comini?

Sì, ma così mi sarei “ammalato”. Mentre preparo un film preferisco essere vicino e lontano. Se preparo  Il primo re, ad esempio, vado a rivedermi Ercole al centro della terra. Ho sempre questi contrasti che mi pongono in una maniera distaccata. In questo periodo, sto guardando molti film di Bollywood. Mi sto appassionando alla maniera in cui gli attori recitano. Sono veramente bravissimi, sebbene le storie siano banali.

A cosa stai lavorando attualmente?

Sto lavorando sul mio film, sono in trattative. Poi ci sono in ballo molti progetti, tantissimi film con cui sto collaborando. Devo girare un noir a Milano, un film musicale con Fabio Mollo a Reggio Calabria, uno su Dante. Ne sono contento. Ammetto che la serialità mi stanca!

 

 
 

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