Fereshteh è una giovane studentessa appena trasferitasi a Teheran dalla propria città natale. Convive con l’amica del cuore Atefeh, un tipetto nervoso e tutto d’un pezzo, abituatosi a sognare in grande (o, per così dire, in inglese), nonché a difendere il suo piccolo lembo di libertà con le unghie e con i denti. Anche Fereshteh fantastica luoghi lontani, articolabili in un idioma sconosciuto e raggiungibili solo attraverso l’umana immaginazione. Le giornate si susseguono in un marasma di lezioni, progetti dal retrogusto dolceamaro e placidi pomeriggi trascorsi fra i corridoi della biblioteca. Questa è la vita che la protagonista, da più di un anno ormai, racconta a mamma e papà. Se fossimo confinati dall’altro capo della cornetta, non avremmo altra scelta: dovremmo fidarci, perfino a costo di ignorare quella fastidiosissima voce interiore che ci spinge verso gli oscuri lidi dell’eterna diffidenza genitoriale. Ma, ahimè, ci ritroviamo a vestire i ben più scomodi panni dello spettatore. E le bugie, sul grande schermo, hanno le gambe corte.
Ricominciamo dunque da capo: Fereshteh è una madre. Per conoscerne la vera storia, sono sufficienti pochi fotogrammi, istantanee di un’esistenza individualista e segretamente insubordinata, trascinatasi da tempo agli antipodi del collettivamente accettabile: vediamo la giovane cucinare il risolatte per la sua bambina. Dall’altro capo dell’appartamento, sentiamo i gridolini e i singhiozzi della nuova venuta, impaziente di prendersi il posto che le spetta nell’angusto universo in cui la ragazza è costretta a muoversi. La casa, primo avamposto dell’inarrestabile colonizzazione messa in atto dalla neonata, porta ovunque i segni di una presenza in più: giocattoli, pannolini, ninnoli si fanno vessilli di una dissidenza occulta e potenzialmente pericolosa. A sconvolgere la lenta e inesorabile rivoluzione di Fereshteh è, guarda caso, la telefonata dei genitori, che qui suona come un inquietante richiamo all’ordine prestabilito: un lontano zio o cugino o chissà quale sottoclasse del mostruoso regno dei parenti si trova ricoverato presso l’ospedale di Teheran. Pare una scusa, e forse lo è davvero, sta di fatto che papà e mamma sono in viaggio verso la dimora della mansueta e disciplinata figlioletta.
Non è la prima volta che il regista di Teheran (classe 1982) affronta i riflettori dei Festival: già noto per Disappearance, la sconcertante cronaca notturna sbarcata agli “Orizzonti” veneziani del 2017 e poi presentata al Toronto Film Festival, il regista iraniano firma con La bambina segreta (passato in anteprima alla Berlinale del 2022) ancora una volta un cinema di rivolta e di denuncia, sillabando il proprio dissenso per mezzo di un idioma dagli accenti talvolta grotteschi.
Ad indossare la tragica maschera della protagonista è ancora una volta la bravissima Sadaf Asgari, qui imprigionata in un disumano labirinto burocratico da cui nessuno riesce ad evadere. Disperse nell’entropia solo apparentemente selvaggia della metropoli, Fereshteh e Atefeh percorrono tutti i gironi di una moderna discesa agli inferi, una via crucis fatta di silenzi e d’oblio, di catene invisibili ma pesanti come piombo. All’interno di un mondo che non ammette libero arbitrio, ogni scelta si trasforma in una croce: così, la figlia di Fereshteh viene trasportata da un capo all’altro della città come la figurina di Gesù bambino in un presepe fatalmente buffonesco.
A segnare le tappe di questo bizzarro pellegrinaggio sono, nell’ordine, i vicini di casa rinchiusi in un’indifferenza brutale, l’amica avvocatessa arrestata per l’ennesima volta solo a causa della sua professione, una moglie inconsciamente repressa, l’ex compagno e padre-fantasma irrimediabilmente minacciato da un Moloch legislativo a cui, se solo potesse e se solo volesse, sfuggirebbe volentieri. Ma la battuta più perturbante dell’intera sceneggiatura viene deposta sulle labbra di Atefeh, amica emancipata eppure anch’essa prostratasi davanti ad un insieme di consuetudini dai lineamenti diabolici: “Una soluzione, in effetti, c’è: potremmo prendere un taxi e andare al parlamento. E magari chiedere a loro di cambiare le leggi sulle donne”. La cinica rassegnazione esibita dalle due ragazze fa certo venire i brividi, ma il colpo di grazia finale è incarnato da quel loro, un pronome personale indefinito ma onnipresente, per mezzo del quale l’autorità penetra nelle coscienze delle sue vittime.
Nel disperato tentativo di nascondere ciò che non si può nascondere (che è un po’ come uccidere ciò che dovremmo amare), Fereshteh finirà per togliere il coperchio a tutti i vasi di Pandora su cui s’erge una normalità perversa e ingannevole. Non ci si deve fidare di nessuno, il fallace e circoscritto scampolo d’indipendenza che circonda la giovane ha occhi dappertutto – perfino sul piccolo corpo assonnato della figlia, scheggia impazzita di un edificio sociale solo in apparenza inossidabile. Ospite temporaneo proveniente da un altro universo (chissà, forse dall’Occidente fantasmagorico tanto vagheggiato dalle due eroine), la neonata non risulta registrata presso nessuna istituzione, la sua esistenza si dipana dunque con orgoglio ai limiti di una civiltà per molti versi incivile. Con caparbio stoicismo, la bambina si farà strada nella quotidianità degli adulti, guadagnandosi in silenzio lo spazio necessario a scardinare quell’ordine prestabilito tanto temuto dalla protagonista. La scena finale si oppone coraggiosamente allo scettico loro lanciato da Atefeh: una soluzione, in effetti, c’è. Fereshteh prenderà un taxi e porrà i genitori di fronte alla propria emancipazione. Chiedendo loro, magari, di trasgredire la legge.
In sala dal 19 settembre 2024.
Proiezione a Roma il 20 settembre, ore 20.30 Cinema Delle Provincie, alla presenza del regista Ali Asgari.
Cast & Credits
La bambina segreta (Ta Farda)– Regia: Ali Asgari; sceneggiatura: Ali Asgari, Alireza Khatami; fotografia: Roozbeh Rayga; montaggio: Ehsan Vaseghi; interpreti: Sadaf Asgari (Fereshteh), Ghazal Shojaei (Atefeh), Babak Karimi (Mr. Mahmoudi), Amirreza Ranjbaran (Yaser), Nahal Dashti (Nadia), Mohammad Heidari (Fereshteh’s Boss), Katayoun Saleki (Mahsa), Milad Moayeri (Mehdi); produzione: Silk Road Productions; origine: Iran/ Francia/ Qatar 2022; durata: 86 minuti; distribuzione: Cineclub Internazionale.