Notte fantasma di Fulvio Risuleo

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Notte fantasma e, più nello specifico, notte romana (si parte dal popolare e multietnico quartiere del Pigneto) divisa in due movimenti e attraversata da una doppia luce: virata nella tensione del noir metropolitano e in quella più tenera e rassicurante del buddy movie , quel sottogenere di film con al centro l’incontro improbabile tra due personaggi, prevalentemente maschili completamente diversi tra di loro, e la nascita di un rapporto di amicizia e complicità in una situazione spesso estrema o paradossale  – ad esempio Walter Matthau e Jack Lemmon, ensemble stabile della lucida e calorosa commedia umana di Billy Wilder,che furono i rappresentanti più sublimi di quell’eterogena intesa maschile; nel cinema italiano, con sfumature più dolenti, si ricordano il post vitellone Vittorio Gassman e l’imberbe studentello Jean Louis Trintignant ne Il sorpasso di Dino Risi.

Fulvio Risuleo, al suo terzo lungometraggio e con un corto, Varicella, premiato al festival di Cannes nel 2015, amplifica le differenze e le distanze della sua strana coppia: Tarek (Yothin Clavenzani), neanche ventenne, ragazzino di origine straniera, affabile e un po’ insicuro, convinto a recuperare un po’ di fumo presso lo spacciatore del parco dagli amici che lo aspettano per trascorrere il sabato sera,  e il poliziotto (Edoardo Pesce), di cui non viene precisato il nome, che lo segue in macchina, lo ferma e innesca il meccanismo di fuga-inseguimento, partenza adrenalinica per quello che si trasformerà poi in un improbabile rendez vous.

Perché il poliziotto in questione, probabilmente spiazzato ed eccitato dal comportamento azzardato , anche se dettato dalla paura, dell’apparentemente mite Tarek, svelerà quasi subito la sua fragile, contradittoria condizione di uomo in una crisi personale riversata sul crinale minaccioso dell’abuso di potere. C’è dunque questo squilibrio iniziale che rende ancora più paradossale e complicato l’avvicinamento tra i due; ma il succedersi di situazioni a rischio, cercate e provocate dal poliziotto, che porta avanti , per un sadico divertimento , la dinamica del gatto con il topo nei confronti del disperato Tarek sotto il giogo della minaccia e del ricatto, si scioglie poi in un lento, amaro tempo di conoscenza e confidenze. Tolta la maschera del bullo fuori tempo massimo camuffato poco credibilmente da tutore della legge, l’uomo apparirà nella sua essenza di animale ferito, solitario e succube dei propri eccessi. Dal canto suo Tarek, sorta di ignaro Sancho Panza della generazione dei millenials, è cooptato da un intrucidito Don Chisciotte che perverte ogni visione onirica in incubo e ogni mulino a vento in desolata landa di periferia, si rivelerà come presenza generosa, saggia, salvifica.

A tratti c’è troppo schematismo in questo ribaltamento dei ruoli tra dannatore e redentore (per Tarek quella notte di follia rappresenta probabilmente anche il rito di iniziazione nella livida età adulta per mano di un cattivo maestro), e il giovane protagonista la tenera impacciatagine di Yothin Clavenzani qualche volta mostra il passo di un’inesperienza che scade nel comico involontario. Emerge poi in alcuni passaggi un meccanicismo tra azione e reazione che produce un senso di esclusione e non coinvolgimento in chi guarda, forse nel tentativo troppo ambizioso, di restituire lo straniamento e lo stordimento di Tarek nella prima parte frenetica e rutilante . Ma c’è di fondo un’ispirazione autentica , uno sguardo affettuoso che si traduce nello spostare di senso e di direzione i colori della notte goliardica e allucinata nel tenue albeggiare delle strade vuote e silenziose di una città che è stata filmata all’infinito e che, per ogni scorcio e ogni vicolo inedito, sembra continui ad essere filmata sempre per la prima volta. Più che fantasma forse, una città sparita e nascosta dentro microcosmi di insoddisfazione che non hanno nemmeno più un’identità precisa o riconoscibile, come quella del poliziotto incastrato in una condizione di frustrazione quasi da cliché di ribelle in  lotta con la vita e con il sistema (ne sono esplicitati i problemi sul lavoro nello scontro  con una pattuglia di colleghi che ne blocca per un attimo la frenetica corrida, si allude a un matrimonio finito male, si mostra l’incontro con una figlia che per ingiunzione del tribunale non potrebbe vedere e alla quale può offrire solo la suggestione di un gelato clandestino, di notte).

A portare sulle proprie spalle larghe questa strabordante e slabbarata esistenza, è la fisicità corpulenta di Edoardo Pesce, il quale porta inevitabilmente su di sé l’imprinting di disagio e violenza, in quel caso spinti fino alle massime conseguenze, del Simoncino di Dogman di Matteo Garrone  (in fondo anche la storia de Il “Canaro”  può essere vista nell’ottica di un macabro buddy movie impantanato nel sangue del più atroce e radicale dei ribaltamenti vittima-carnefice). Ma Risuleo coglie sulla solidità cosi romana di Pesce la capacità di effettuare impercettibili variazioni di tono e di sensibilità , di correggere un poco quel cinismo e quel disincanto radicati in un immaginario  ingombrante, che da Alberto Sordi arriva fino a Valerio Mastandrea, nella prospettiva di una fiducia e di un apertura che non esclude il contrappasso di un gesto terminale o definitivo. Così la simmetria tra gli indistinti fari e lampioni serali nella prima inquadratura e la luce diurna che sorge e chiude la narrazione, distinguendo il campo-fuori campo nei destini incrociati di Tarek e del suo carceriere/compare, si fa la partitura sotterranea di un’attesa e inaspettata sonata per due.

Presentato in anteprima al Festival di Venezia (Sezione Orizzonti Extra) e alla Festa di Roma (Alice nella città).

In sala dal 17 novembre


Notte fantasma – Regia e sceneggiatura: Fulvio Risuleo; Fotografia: Guido Mazzoni; Montaggio: Ilenia Zincone; Musica: Francesco Rita; Interpreti: Edoardo Pesce, Yothin Clavenzani; Produzione: Annamaria Morelli, Antonio Celsi, Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa ; Origine: Italia, 2022; Durata: 83’; Distribuzione: Vision Distribution.

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