Songbird

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Los Angeles, 2020 – ah no, scusate, volevamo dire: Los Angeles, 2023. Ma potremmo anche scrivere 2021. Lo scenario rimane lo stesso e, volenti o nolenti, ci sentiamo come Will Smith a caccia di zombie. Chiunque si sia dovuto spostare durante i precedenti lockdown ha potuto bearsi di panorami quantomeno simili: autostrade abbandonate, confusi ammassi di carte ripiegati nel portamonete, strani cartelli a cui non sappiamo bene quale senso attribuire. Il “qui non si passa” sostituisce quelle interminabili code che ci ritroviamo inaspettatamente a rimpiangere. In fondo non era poi così male trascorrere ore imbottigliati nel traffico, condividendo improperi con i propri compagni automobilisti – del resto, dopo un anno e mezzo di pandemia perfino l’attesa davanti alla porta del supermercato si è trasformata in un’attività eccitante.

Dicevamo: Los Angeles, 2023. La città è deserta. La vita si è nascosta dietro le mura di case ormai fatiscenti. La civiltà prosegue sugli schermi degli smartphones, il mondo è visibile soltanto al passato. Il contatto umano si prosciuga fra una videochiamata e l’altra, nessuno riesce più nemmeno ad immaginarsi cosa voglia dire stringere la mano ad un conoscente, o abbracciare un amico. Ci rivolgiamo a tutti gli ipocondriaci per i quali stare sulle spine non è soltanto un lavoro, ma una vera e propria vocazione: pensavate di scamparla? Credete sia finita? Niente paura! A nutrire la vostra vena complottista, ad impugnare il vostro termometro immaginario, a vezzeggiare le vostre paranoie quotidiane è il regista statunitense Adam Mason: il suo nuovo film,  Songbird, ci offre in pasto ciò che vogliamo – e noi vogliamo vedere il mondo crollare, un po’ per abitudine (basta aprire un qualsiasi social network), un po’ perché siamo inevitabilmente regrediti. Ad ogni bambino, dopo i capricci, una piccola dose di tenera commiserazione fa sempre piacere: si, avevamo ragione a lamentarci. No, non ne usciremo mai. Da bravo, ora mettiti a letto e gioca con le tue bambole.

Torniamo dunque alla nostra Los Angeles del 2023. Il virus, ovviamente, è mutato e – come se non bastasse – si trasmette per via aerea. Aprire la porta di casa o socchiudere la finestra è reato. Ogni mattina una strana app ci scannerizza il cranio alla ricerca del morbo. Chi passa l’esame può godere l’immenso privilegio di rimanere nel suo salotto a preparare torte e timballi, mentre i meno fortunati vengono portati di peso nel lazzaretto comune ai margini della città. La peste nera è un bel ricordo in confronto a questa cinica distopia tecnologico-medievale. Ma attenzione: in mezzo al nulla, sfreccia una bicicletta. Si tratta di Nico (KJ Apa), sorta di superuomo al quale ancora è concesso respirare l’aria cristallina del futuro post-pandemico. Immune dal terribile male, il ragazzo trascorre le sue giornate svolgendo il sacro ufficio del corriere a domicilio. Come un semidio o un professionista del parkour, Nico s’arrampica sui grattacieli disabitati e, di tanto in tanto, mostra alla fidanzata Sara (Sofia Carson) ciò che rimane del loro vecchio universo: uffici vuoti, carreggiate desolate e, in lontananza, l’immota ironia del caro Oceano Pacifico. Fra i due innamorati c’è la distanza di un braccialetto, sorta di reliquia che dichiara l’appartenenza o l’estraneità del soggetto alla nuova schiera degli Eletti.

Il sogno di Nico è quello di procurare all’amata un cinturino fasullo, allegandogli una romantica richiesta di fuga in riva al mare – non sembra una grande idea, dal momento che il virus si diffonde per via aerea, ma il cuore ha le sue ragioni che la mente non conosce. Sappiamo che non sarà un’impresa facile: quando la nonna di Sara entrerà nel limbo dei contagiati, Romeo e Giulietta dovranno lottare contro l’angelo della morte (ora identificato con l’orrendo epiteto di COVID-23), nonché contro l’intero esercito dell’Apocalisse – qui personificato da medici in scafandro e da un bisunto Joker armato di coltellino svizzero. Indovinate come andrà a finire?

In generale, il film di Adam Mason, per altro prodotto da Michael Bay,  pare avere tutte le carte in regola per essere distrutta dal naso arricciato dei critici: la trama è prevedibile (così come lo sono le condanne dei suoi detrattori), la cornice inverosimile (e meno male!!), la struttura narrativa piena di lacune (roba da non dormirci la notte), i personaggi appena abbozzati. Eppure, il tratto leggero e scaltro della sceneggiatura permette alla cinepresa di plasmare una civiltà ormai in larga parte costituita da macchiette e burattini. Il déjà-vu, in tal caso, non riguarda tanto l’amara routine con cui ancora dobbiamo fare i conti, quanto l’onnipresenza digitale e televisiva delle maschere a cui il virus ha dato voce: giornalisti, influencer, opinionisti, virologi, economisti, scienziati fai-da-te, perfino l’addetto delle pulizie (specialmente se munito di coltellino svizzero) possiede più rilevanza politica del cittadino perennemente esposto al pericolo del contagio. Il regista riproduce un quadro di genere a cui ormai ci siamo assuefatti – e che rende questa Los Angeles distopica un po’ più credibile di quanto non sembri.

Dal 30 giugno in sala


Cast & Credits

Songbird  –  Regia: Adam Mason; sceneggiatura: Adam Mason, Simon Boyes; fotografia: Jacques Jouffret; montaggio: Geoffrey O’Brien; interpreti: KJ Apa (Nico), Sofia Carson (Sara), Craig Robinson (capo di Nico), Bradley Whitford (Mr. Griffin), Peter Stormare (capo del dipartimento), Alexandra Daddario (May), Paul Walter Hauser (Max), Demi Moore (Piper Griffin), Jenna Ortega (Izzy); produzione: Platinum Dunes, Catchlight Films, Invisible Narratives; origine: USA 2020; durata: 95’; distribuzione: Notorious Pictures.

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