Festival di Venezia (28 agosto-7 settembre 2024): Antikvariati/The Antique di Rusudan Glurjidze (Giornate degli Autori – Concorso)

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È stata la notizia che ha fatto più clamore nei primi giorni della Mostra: il ritiro di The Antique di Rusudan Glurjidze, la cinquantaduenne regista georgiana, giunta al suo secondo lungometraggio, otto anni dopo il primo. La richiesta di sospendere la proiezione, prevista nei primissimi giorni all’interno delle “Giornate degli Autori”,  proviene da tre compagnie (minoritarie) di coproduzione, una russa, una croata e una cipriota. La ragione addotta sarebbe un’infrazione nei confronti del copyright, non si è saputo per la verità quale. Regna, inutile negarlo, una certa opacità. Un giudice veneziano ha comunque dato ragione ai ricorrenti, e le due proiezioni previste il 28 e il 29 agosto non hanno avuto luogo. Ma la direzione delle Giornate non si è data per vinta e a tutela del diritto d’autore in generale e dell’autrice nello specifico ha fatto ricorso, ottenendo il permesso di presentare il film pubblicamente, venerdì 6 settembre, talché quella che sarebbe dovuta essere la terza proiezione è divenuta la prima – e unica. Tutto lascia pensare che la vicenda giudiziaria potrebbe non finire qui. Ma intanto il risultato, mostrare almeno una volta il film, è stato portato a casa.

Dopo la comunicazione della temporanea sospensione quasi tutti hanno avanzato l’ipotesi che si sia trattato di un camuffato caso di censura, ché il film è ambientato nel 2006 tratta della deportazione di profughi georgiani dalla Russia, una pagina traumatica della storia di quel paese che è valsa alla Russia una condanna europea per violazione dei diritti civili, una sentenza che apre e chiude il film, fungendo da tappeto sonoro dei titoli di testa e dei titoli di coda, insieme alla voce di Vladimir Putin (di allora). Tutto, dunque, lascerebbe pensare che lo spettatore sia invitato a leggere questo film come un atto di accusa nei confronti della Russia di Putin, ora come allora autrice di soprusi e di una politica ora discriminatoria (i georgiani sono considerati un po’ come dei “terroni” e dei “neri” dai russi) ora aggressiva.

Non c’è dubbio che il coté politico del film sia importante, anche se, mi sia consentito affermarlo con decisione, non è il più bello, a tratti sembra addirittura sovraimpresso al resto, al punto che l’unico personaggio davvero riuscito, davvero grandioso del film è quello di un anziano signore russo che viene chiamato con nome  e patronimico come nei grandi romanzi russi dell’800 Vadim Vadimovic, interpretato magnificamente da Sergey Dreiden, scomparso purtroppo più di un anno fa, un signore burbero e risentito che decide a un certo punto di vendere la sua casa borghese e délabré di San Pietroburgo, a condizione che l’acquirente si accolli, come coinquilino, il venditore stesso finché morte non sopravvenga, una sorta di nuda proprietà, modello post-sovietico. Quest’uomo vecchio e incanaglito, un po’ in lotta con tutto il mondo, incantato solo da Samson et Dalila di Saint Säens che ascolta al giradischi (vecchi vinili marca sovietica Melodia)  oltreché dalle gare di uno sport sul ghiaccio che non conosco che mi pare assomigliare al curling, ha una potenza che non si può non definire cechoviana (scopro che l’attore è stato interprete de Il giardino dei ciliegi in occasione del centenario della pièce, nel 2003). Ebbene, l’acquirente della suddetta casa non è altri che Medea, nome molto diffuso in Georgia (nell’antichità si chiamava Colchide, da lì proveniva la Medea che tutti conosciamo) che lavora in una ditta, semi clandestina, che contrabbanda mobili antichi provenienti, appunto dalla Georgia. Medea è una donna piuttosto volitiva ma nient’affatto serena, anzi decisamente depressa, non si capisce se per la situazione del suo paese o se lo è più in generale. E dal medesimo paese proviene anche il suo compagno, Lado, uno di quelli che materialmente le antichità  le carica sui camion e le porta in Russia. Lado è un po’ un fannullone, senz’arte né parte, che avrà la peggio perché appunto, nel corso di una retata, verrà rispedito in Georgia – anche se, diciamolo pure, la regista non ha fatto granché per alzare il gradiente di empatia negli spettatori a vantaggio del personaggio.

Si tratta di un film molto, molto diseguale, con dei momenti di meravigliosa poesia decadente, complici anche gli scorci di una spettacolare San Pietroburgo innevata, oltreché, come detto, per merito di tutte le sequenze nelle quali è in scena Dreiden (in rottura totale con il proprio figlio che ha letteralmente diseredato), personaggio dal passato misterioso (forse una spia? chissà!); altri momenti sono inutilmente ellittici e forse anche ripetitivi , per esempio quelli ambientati nell’enorme loft dove sono stivati i mobili in attesa di acquirenti, con la direttrice che si palesa solo attraverso una voce da un altoparlante e un occhio/telecamera che si muove, di cui francamente si fatica a capire il senso.

Un ultimo dettaglio: il film è sceneggiato dalla stessa regista e da un altro sceneggiatore denominato “Anonymous”, c’è chi dice che dietro questa dicitura si nasconda qualcuno di molto molto famoso.


Antikvariati  (The Antique) Regia: Rusudan Glurjidze; sceneggiatura: Rusudan Glurjidze, Anonimo; fotografia: Gorka Gomez Andreu; montaggio: Grigol Palavandishvili; interpreti: Salome Demuria (Medea), Sergey Dreiden (Vadim), Vladimir Daushvili (Lado); produzione:  MPM Premium, Basis Berlin Filmproduktion, Cinetech, Cinetrain, Whitepoint Digital; origine: Finlandia/ Germania/ Georgia/ Svizzera, 2024; durata: 132 minuti.

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