Non si può certo dire che i film, le commedie di Riccardo Milani – a prescindere se piacciano o meno, non importa – manchino di coerenza morale e contenutistica. Assolutamente no – il che non è poco nel panorama della nostra cinematografia. I fili rossi si intrecciano di continuo nella sua filmografia per il grande schermo che annovera, sino ad oggi, quindici lungometraggi, tra cui due recenti e ricchi documentari, l’uno dedicato al calcio Nel nostro cielo un rombo di tuono (2022); l’altro, invece, alla musica: Io, noi e Gaber del 2023.
Ma è soprattutto l’appassionata analisi e vivisezione dei vizi, difetti, storture e problemi degli italiani – in ciò seguendo ed aggiornando al terzo millennio gli insegnamenti della grande “commedia all’italiana” degli anni Sessanta – che costituisce l’elemento distintivo della ricerca del regista abruzzese. E anche questa ultima volta Milani non si è sottratto a tale impegno, ricorrendo per la seconda volta di fila alla collaborazione dello sceneggiatore Michele Astori con cui aveva scritto il precedente Grazie ragazzi (2023) – a cui bisognerà, poi, aggiungere, particolare non irrilevante, la quinta presenza di quello che ormai diventato un fedele complice e compagno di viaggio e cioè Antonio Albanese, sulla cui bravura attoriale si possono avere pareri discordi.
Ricordiamo infine – e poi veramente concludiamo con questa noiosa carrellata statistica di “amarcord” – che in Un mondo a parte Milani, oltre a ritornare per l’ennesima volta nella sua regione natale, l’Abruzzo, va a toccare quel mondo della scuola che aveva segnato il suo debutto nel cinema quasi trent’anni fa con Auguri professore (1997). Un film in cui si raccontava la storia di un insegnate di lettere in crisi e della sua classe, sulla base del libro di Domenico Starnone Solo se interrogato.
Anche ora c’è un professore in crisi, tal Michele Cortese, – omen nomen, non a caso – che non ne può più dei suoi prepotenti alunni della periferia romana e sogna di continuare la sua missione pedagogica in una situazione diversa e meno stressante. Se il professor Vincenzo Lipari alias Silvio Orlando nell’opera prima di Milani veniva da un paesino di montagna, questa volta è il nostro mite eroe Albanese, un Candido dei giorni nostri che chiede di trasferirsi, per una assegnazione provvisoria, lontano dalla giungla metropolitana, assecondando anche una sua, forse ingenua, infatuazione ecologica. E così si ritrova in un luogo in cui probabilmente nessun insegnante che non fosse un kamikaze dell’Isis vorrebbe andare, ai confini del mondo, all’Istituto Cesidio Gentile detto Jurico dal nome di un poeta-pastore di Pescasseroli realmente esistito (1847 – 1914). Una scuola, sita nel bel mezzo del Parco Nazionale d’Abruzzo, in un paesino ad oltre 1.000 metri d’altezza chiamato Rupe (in realtà Opi), che annovera un’unica pluriclasse di bambini dai 7 ai 10 anni (in Italia, secondo recenti statistiche, sono la bellezza di 1325). L’inizio è ovviamente catastrofico per Michele che da schivo uomo del nord Italia non è abituato al rigido clima dell’inverno marsicano con tanto di minacciosi o meno animali selvatici; così arriva lì con dei mocassini ai piedi e con alla macchina delle gomme da neve scamuffe; non capisce il dialetto in cui tutti parlano e si deve abituare al motto (bella trovata di sceneggiatura) che risuona per tutto il film “la montagna lo fa” (nel bene e nel male).
Comunque, dopo il primo choc iniziale, l’uomo viene aiutato ad adeguarsi al non semplice ambiente dalla vice-preside Agnese (una brava e convincente Virginia Raffaele) e dai suoi simpatici alunni, tra cui un giovane hacker che a un certo punto diventerà il risolutivo deus ex machina. Tuttavia, non si fa e scrive un film se le cose andassero tutto per il verso giusto e così la scuola apparentemente felice è minacciata di chiusura da un subdolo cattivone di turno, data la mancanza di nuovi alunni che ne legittimano l’esistenza. Non c’è bisogno di aggiungere che a questo punto scatterà una count-down contro il tempo da parte dei protagonisti che si impegneranno reclutare degli stranieri arrivati o presenti in zona – ucraini o marocchini non importa – con cui compensare il crollo demografico degli indigeni italici, ciò che finisce per conferire al film una involontaria attualità e attitudine “antagonista”, viste le recentissime esternazioni di Salvini e Valditara. Per poi giungere a un finale per altro altamente prevedibile.
Un mondo a parte costituisce per me un classico caso in cui ci verrebbe voglia dire: ah sì ok, bella idea di partenza ma, in definitiva, che occasione sprecata! L’ultima opera di Riccardo Milani, infatti, per tutta la prima parte funziona egregiamente con le gag al punto giusto e una discreta capacità di intrattenere piacevolmente lo spettatore. Poi ad un certo punto il racconto sostanzialmente realistico si trasforma in una fiaba dorata, abbastanza zuccherosa, che cambia le carte in tavola, con l’abbandono di una certa accattivante ruvidezza di situazioni e di personaggi narrati.
Risultato: un film bifronte forse per esigenze di committenza (ma qui entriamo nel campo delle ipotesi) che forse avrebbe potuto e/o dovuto osare un pizzico in più. Anche se poi Milani, bisogna dargli atto, dei meriti non piccoli ce li ha: per esempio ha girato alla maniera del neorealismo classico, con un cast (come simpaticamente esplicita nei titoli di coda) composto in gran parte da non-professionisti; e poi ci pone e ricorda una serie di problemi e storture italiche di non poco conto. Andare a vedere per credere.
In sala dal 28 marzo 2024
Un mondo a parte – Regia: Riccardo Milani; sceneggiatura: Michele Astori, Riccardo Milani; fotografia: Saverio Guarna; montaggio: Patrizia Ceresani, Francesco Renda; scenografia: Marta Maffucci; interpreti: Antonio Albanese, Virginia Raffaele, Sergio Saltarelli, Alessandra Barbonetti, Solidea Pistilli, Donatella La Cesa, Bianca Maria Macro, Gianmarco Borsa, Guglielmo Casale, Enzo De Sanctis, Andrea Decina Di Pirro; produzione: Lorenzo Gangarossa, Mario Gianani per Wildside, Medusa Film; origine: Italia, 2024; durata: 113 minuti; distribuzione: Medusa.