Una voce fuori campo dichiara l’inizio delle vacanze estive. Sulla spiaggia dei ragazzi giocano rumorosamente a pallone. Il mare si staglia limpido all’orizzonte. La palla è innocua, il terreno di gioco luogo neutro dove sfogare insoddisfazioni, malumori, tempeste ormonali. Sarà un’estate determinante per i quattro fratelli, tre dei quali, i maggiori, sono in campo a tirar calci: il quarto e minore Nour (interpretato da Maël Rouin Berrandou) – adolescente magrolino dai capelli ricci, pochi centimetri, sguardo aperto sul mondo – li osserva dal muretto che divide la sabbia dalla strada e cerca di attaccare a parlare con la ragazza accanto. Ha quattordici anni e una maturità superiore alla media: a casa accudisce, insieme agli altri tre, una madre in coma da tempo. Tutti devono portare denaro nell’economia della famiglia, le cure mediche costano, i ragazzi rifiutano quella che considerano la carità dello zio, non vogliono che la donna finisca la sua vita in un anonimo letto di ospedale, usano tutte le loro armi pur di evitarlo.
I contrasti tra i fratelli sono continui, ripetuti, sempre uguali e sempre diversi, come sono loro, l’uno l’opposto dell’altro, uniti dalla fratellanza e dall’amore: c’è Abel, il maggiore (interpretato da Dali Benssalah), sempre serio e preoccupato, che sbarca il lunario con la rivendita di magliette sportive di sottomarche; Mo (interpretato da Sofian Khammes), allegro e muscoloso, vanesio e sensibile che passa il tempo a corteggiare le villeggianti negli hotel di lusso o a fare addominali nel corridoio della piccola casa; c’è Hedi (interpretato da Moncef Farfar), il più inquieto e turbolento, avviato in loschi traffici di piccolo spaccio territoriale. Volano schiaffoni, urlacci, gran pacche sulle spalle, mangiate di spaghetti col ketchup mentre uno fuma e detta legge: una mascolinità esibita crudamente che contrasta con la delicatezza con cui i ragazzi si prendono cura della madre, la lavano con le spugnette, la spostano, le cambiano la sacca della flebo, sanno come gestire la macchina “spaziale” alla quale è attaccata e che scandisce il tempo delle loro giornate. Nour evade nella musica: fa partire a massimo volume nelle casse posizionate verso la stanza della madre le arie de La Traviata cantante da Pavarotti per farle piacere, visto che le ascoltava dal padre italiano usate a mo’ di corteggiamento.
La casualità vorrà far incontrare il piccolo Nour con una insegnante di canto lirico (interpretata da Judith Chemla), che riconoscerà in lui un piccolo bulbo di talento: riuscirà il piccolo attraverso l’arte a fare un salto verso una vita migliore, via dal piccolo paese di mare che vive solo nei mesi di vacanza? La bellezza può nascere ovunque ma ha bisogno di altre tessere per far quadrare la mappa e svoltare una esistenza verso una nuova dimensione.
Attraversando una trama semplice e lineare, non troppo originale, il film che era stato presentato al “Un Certain Regard” di Cannes 2021, tiene forte lo spettatore attaccato ai personaggi, per via di uno sguardo fluido e intimo, penetrante e mai giudicante: una osservazione sapiente e delicata di un momento di passaggio per un ragazzino adolescente nato in un ambiente da cui è difficile riscattarsi, andare via. Attori perfettamente in parte, una sceneggiatura ben scritta adattata da un testo teatrale, regia a tono (Yohan Manca), fotografia estiva che fa venir voglia di tuffarsi in mare (Marco Graziapiena, il direttore della fotografia di Kechiche nei due capitoli di Mektoub, mon amour).
In sala al 24 novembre
Una voce fuori dal coro (Mes frères et moi) – Regia: Yohan Manca; sceneggiatura: Yohan Manca, Hédi Tillette de Clermont-Tonerre; fotografia: Marco Graziapiena; montaggio: Clémence Diard; musica: Maxence Dussère, Bachar Khalifé; interpreti: Maël Rouin Berrandou, Judith Chemla, Dali Benssalah, Sofian Khammes, Moncef Farfar, Luc Schwarz, Olga Milshtein, Loretta Fajeau-Leffray, Carla Tarley, Mailys Bianco; produzione: Single Man Productions; ; origine: Francia, 2021; durata: 108’; distribuzione: I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.