Black Widow

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Nel bel mezzo del nulla (altresì detto Ohio), due ragazzine si rincorrono nei boschi vicino a casa. La mamma le raggiunge, racconta loro storie di stelle e di lucciole, le consola quando si fanno male. La frase “il dolore rende più forti”, pronunciata davanti ad un ginocchio sbucciato, dovrebbe già suonare come un campanello d’allarme. La svolta definitiva è segnata dall’arrivo del padre che, incurante dalla prelibata cenetta cucinata dalla bella mogliettina, prepara l’intera famiglia ad una grande avventura: i quattro si ritrovano in fuga, il volto assente delle figlie rivela un’inquietante consapevolezza. Questi sono i primi ricordi di Natasha Romanoff e sorella (qui interpretate da una Scarlett Johansson insolitamente umana e da un’indisciplinata Florence Pugh): dimenticatevi, dunque, la Stalingrado degli anni ’30, la leggenda imperiale legata ad un cognome fin troppo noto, l’attentato nazista, la guerra fredda.

La regista  Cate Shortland ricontestualizza le vicende in un passato più recente, senza per questo tradire il fumetto: l’obiettivo, come spesso capita nell’universo cinematografico targato Avengers, strizza l’occhio al purista e gioca con il divoratore di graphic novels, dando al contempo un’affettuosa pacca sulla spalla agli astemi. La director e sceneggiatrice australiana si rivela una maestra nell’arte di rimescolare le carte in tavola, adattando i volti alle coordinate emotive e spaziotemporali che ci circondano in questo preciso momento storico. La sua Black Widow, infatti, è una ragazzina dai capelli colorati e dal passato misterioso. Il suo Aleksei Shostakov (David Harbour), antica nemesi sovietica del più celebre Capitan America, è un energumeno grande e grosso dal carattere tanto irascibile quanto ciarliero: padre putativo della nostra Nikita, il Guardiano Rosso sembrerebbe quasi ridursi alla macchietta di sé stesso, ma in realtà conserva quel carattere monodimensionale che gran parte dei paladini odierni ha ormai abbandonato. All’appello non manca Melina Von Vostokoff (Rachel Weisz), qui malamente compresa nel ruolo di madre dell’allegra e disfunzionale famigliola.

Come vuole il canone, Natasha viene rapita e inserita nel Programma Vedova Nera, atto a trasformare innocenti ragazzine (che innocenti non sono) in vere e proprie killer senza scrupoli. Questo mondo al femminile viene quotidianamente sedotto e represso dalla voce di Dreykov (Ray Winstone), capo della famigerata Red Room e ideatore del folle progetto, nonché grande architetto di un destino a cui la protagonista cercherà di opporsi. È come se la trama di Equilibrium (2002) venisse all’improvviso trasposta in una distopia cibernetica à la Matrix, dalla quale è impossibile risvegliarsi se non – guarda caso – con l’ausilio di uno strano gas rosso. Coincidenze? Ma l’incubo di Miss Romanoff è ben più tangibile, il lavaggio del cervello costruisce catene a prova di bug informatici e, una volta uscite dalla vasca, non si sa neanche bene cosa farsene della propria libertà.

Lentamente ma inesorabilmente ritorna tutto, Shortland decostruisce la storia per ricomporne i frammenti, nulla è lasciato al caso: la vita di Natasha ci scorre davanti agli occhi nei primi quindici minuti. Una serie di flashbacks ricostruisce l’infanzia della giovane donna, articolando le immagini al condizionale e lasciando aperta ogni pista – dal rapimento al KGB, dal tradimento della Patria natìa alla definitiva emancipazione, per poi giungere all’anarchica solitudine che caratterizza il supereroe contemporaneo (nonché la nostra società). Come ogni pellicola Marvel che si rispetti, anche questa è caratterizzata da continui cambi di registro, da enormi scossoni grazie ai quali azione e intrattenimento si fondono in una miscela esplosiva – siamo lontani anni luce dall’estenuante oscurità firmata DC. Ve lo immaginate Batman scrollato come un fantoccio da un bestione verde? O Superman (non Clark Kent!) in preda alle sue idiosincrasie? No, vero? Ed ecco il problema.

I personaggi di Stan Lee appartengono alla nostra quotidianità eppure la trascendono, sono capaci di polemizzare fra loro nel bel mezzo dell’apocalisse, normalizzano l’orrore e il caos a colpi di freddure, rendono l’entropia postmoderna accettabile e simpatizzano con il lettore pauroso. Il rosso e il nero la fanno da padroni, il lungometraggio scivola via come un bicchiere di sciroppo al lampone dal gusto un po’ asprigno, l’occhio sopravvive alla guerra rimanendo illeso, lo sguardo segue le evoluzioni dei personaggi e se ne sazia senza mai stancarsi. Black Widow ci fa ricordare il motivo per cui, all’epilogo di Endgame, siamo usciti dalla sala con l’amaro in bocca e con una piacevole nostalgia. Ma non tutto è perduto: Credete forse che gli Avengers abbiano appeso scudo, martello e armatura al chiodo? Aspettate la scena bonus dopo i titoli di coda, e poi ne riparliamo.

In sala dall’8 luglio


Cast & Credits

Black Widow – Regia: Cate Shortland; sceneggiatura: Don Heck, Stan Lee, Don Rico (personaggi), Jac Schaeffer, Ned Benson (storia); fotografia: Gabriel Beristáin; montaggio: Leigh Folsom Boyd, Matthew Schmidt; interpreti: Scarlett Johansson (Natasha Romanoff / Vedova Nera), Florence Pugh (Yelena Belova / Vedova Nera), David Harbour (Alexei Shostakov / Guardiano Rosso), O. T. Fagbenle (Rick Mason), William Hurt (Thaddeus “Thunderbolt” Ross), Ray Winstone (Dreykov), Rachel Weisz (Melina Vostokoff / Vedova Nera); produzione: Marvel Studios; origine: USA 2021; durata: 133’; distribuzione: Walt Disney.

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