Ci sono due modi (o forse anche di più) di guardare un film come Diabolik chi sei?, il terzo film che i Manetti bros. dedicano al Re del Terrore. Il primo è quello supercilioso di un mese fa’ di certi critici che hanno affollato la sala stampa della Festa di Roma, non mancando di rimarcare il proprio scetticismo rispetto a quanto veniva proiettato sullo schermo con sguaiate risatone, quasi a sottolineare un odio un po’ sprezzante per la comicità involontaria del film. Chi si accosterà a questo capitolo finale della trilogia con questa sorta di prosopopea non potrà che trovarlo deludente. Sottolineerà allora lo schematismo inerte della messinscena, troppo pedissequamente speculare all’estetica delle “strips” delle sorelle Giussani; si affannerà a effondersi in accigliate elucubrazioni sul grado zero della recitazione di molti degli interpreti; magari accanendosi con la presunta “cagneria” di Monica Bellucci, nel senso beninteso in cui lo intendeva il Renè Ferretti di Boris.
Legittima e opinabile ipotesi, ma c’è anche un secondo modo che è quello adottato da chi scrive, il quale considera l’adattamento del celeberrimo fumetto giallo uno straordinario lavoro di rielaborazione semiotica e metalinguistica, non disgiunto dal piacere fanciullesco e stra-cult del racconto popolare, ontologicamente destinato un pubblico largo.
La premessa teorica riguarda una considerazione merceologica che giustifica il lavoro degli autori del film e quello molto più modesto di chi ve lo sta raccontando: da una paio di lustri abbondanti a questa parte il genere dei cosiddetti “cine-comics” è stato definitivamente sdoganato dalla critica e portato in trionfo dagli spettatori di tutto il mondo (non solo quello hollywoodiano) collocandosi stabilmente nei piani altissimi dei box-office globali, grazie alla disfida iconografica tra la Marvel e la DC Comics; coi loro relativi “universi cinematici”, sequel, reboot, cross-over, et cetera, et alia, et similia. Con il caso paradigmatico e enorme di Avengers: Endgame che nel 2021 è diventato il maggior incasso nella storia del cinema, prima di essere nuovamente risuperato da Avatar di James Cameron. Incredibile dictu, si sarebbe esclamato fino a pochi decenni orsono. Ma il mondo cambia e così vanno le cose, piaccia o non piaccia…
Sia chiaro: non c’è nulla di più triste di una cinematografia che si ponga in una postura programmaticamente subalterna rispetto a quella economicamente dominante di Hollywood, provando a ricalcarne macchinalmente cliché e stereotipi come sudditi di una provincia dell’impero statunitense. Se però i nostri autori scelgono di adottarne certe politiche industriali in maniera intelligente, il cinema italiano ne ha tutto da guadagnare, allontanandosi finalmente dalle secche di un certo provincialismo asfittico da commedia agrodolce “due camere e cucina”.
Qui i fratelli Manetti e la “Mompracem”, la coraggiosa casa di produzione da loro fondata assieme a Carlo Macchitella, compiono un doppio lavoro di transcodificazione semiotica. Da un lato adattano per lo schermo cinematografico la grammatica del fumetto; e allora ecco comparire gli split-screen a ricalcare le tavole disegnate, gli arditi “plongée” a pantografare certe invenzioni delle sorelle Giussani, le panoramiche a schiaffo a restituire il falso movimento degli albi; gli zoom apparentemente sgrammaticati, gli eloqui asettici tipici dei cartoon, etc. etc.
Il secondo scarto è quello più prettamente citazionista: dovendo sviluppare una trama ambientata prevalentemente negli anni ’70, Marco e Antonio Manetti si affidano alla sintassi dei codici del cinema di “genere” di quel periodo, principalmente il “poliziottesco”, da cui mutuano le sparatorie gore, gli inseguimenti spericolati, e un certo basico manicheismo assiologico che era proprio del cinema dei vari Lenzi, Massi, Di Leo o Castellari. Affinché il debito culturale si ancora più esplicitano, scritturano nel cast una delle figure femminili più iconiche del filone come Barbara Bouchet; la cui fama è giunta anche oltreoceano, come ci spiega Quentin Tarantino, a ogni piè sospinto.
Il film per noi è tutto qui, in questo gioco di rimandi colti che non vengono però sciorinati in maniera professorale, ma adagiate su un dispositivo narrativo sanamente pop. Conta poco la trama: che si tratti cioè di una “origin-story” come direbbero gli statunitensi, in cui cioè si narra la genesi del personaggio protagonista. Importa relativamente che in questa terza parte del franchise si celebra lo scontro finale tra Diabolik e la sua nemesi Ginko; o che balzino sugli scudi le due protagoniste femminili, sancendo anche qui l’empowerment delle donne. Il sugo del sale, qui, è tutto nel doppio binario (teoretico e narrativo) che si è tentato di raccontare sopra, in ragione del quale anche la fissità raggelata di certe recitazioni o lo schematismo grottesco di certe caratterizzazioni non soltanto non disturbano (e chi pretendesse di cercare la verosimiglianza in operazioni simili ha sbagliato sala), ma risultano paradossalmente più funzionali al dispositivo segnico.
A suffragare quanto si è provato sin qui ad argomentare, la colonna sonora, letteralmente strepitosa. Lo “score” è affidato alla premiata ditta Pivio & Aldo De Scalzi che ordiscono uno spartito tutto orchestrato tra funky e r’&b’. La “title-track” è composta ed eseguita dai Calibro 35 (cui si aggiunge la voce mitica di Alan Sorrenti), band milanese che proprio al poliziesco all’italiana degli anni ’70 deve nome e cifra stilistica.
Ovviamente si può sempre optare per la prima ipotesi nel giudicare il film, elencata all’inizio.
In Anteprima alla Festa di Roma sezione Grand Public
In sala dal 30 novembre 2023
CREDITS & CAST
Diabolik Chi sei? – Regia: Manetti Bros.; soggetto: personaggi di Angela e Luciana Giussani, Manetti Bros., Mario Gomboli; sceneggiatura: Manetti Bros., Michelangelo La Neve; fotografia: Angelo Sorrentino; montaggio: Federico Maria Maneschi; interpreti: Giacomo Gianniotti, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Pier Giorgio Bellocchio, Massimiliano Rossi, Mario Sgueglia, Max Gazzè, Carolina Crescentini, Paolo Calabresi, Lorenzo Zurzolo, Barbara Bouchet; produzione: Mompracem, Rai Cinema; origine: Italia, 2023; durata: 124 minuti; distribuzione: 01 Distribution.
Photo nel testo: Nicole Manetti.