Qualche tempo fa, nel bel mezzo di Fellinopolis (https://close-up.info/fellinopolis/), il compositore Nicola Piovani dichiarava davanti alla cinepresa di Silvia Giulietti che l’erede di Fellini non sarebbe mai stato un felliniano: e infatti Elisabetta Sgarbi, con la sua Romagna nebbiosa e turbolenta, con la sua malinconia esistenziale nascosta dietro al pavimento traslucido delle sale da ballo, non ha certo raccolto quell’eredità uggiosa ma eccentrica che il buon Federico Fellini ci ha lasciato.
A suggerircelo è l’ultima creatura della già menzionata regista, il documentario Extraliscio (presentato in anteprima alle “Giornate degli Autori” della 77ª Mostra del Cinema di Venezia, 2020) uno strano esperimento che concentra la sua attenzione sull’omonimo gruppo musicale, reo d’aver irrimediabilmente sposato l’Opera con la balera e la balera col centro sociale. La pellicola si presenta come un bizzarro ibrido sospeso fra i cerimoniosi rituali del valzer e la selvaggia inquietudine del ballo popolare: i capitoli si susseguono apparentemente senza un filo logico, così come tradizione e innovazione si fondono e si confondono negli stravaganti esperimenti sonori autografati Mirco Mariani, Moreno il Biondo e Mauro Ferrara – il massiccio e baritonale Alain Delon della cosiddetta bassa.
Ad accompagnare i nostri musicanti di Brema nella loro dissonante avventura è lo scrittore Ermanno Cavazzoni, cantastorie emiliano amatissimo da ogni buon discepolo (ma non erede!) di Fellini e, guarda caso, volto nascosto sul fondo del pozzo in cui canta La voce della luna. Così, l’intera banda s’incammina in un percorso che striscia sulle sponde del Po, giù per le valli umide fino ad arrivare a Milano – la quale, nel comune sentire della gente di provincia, è la Capitale delle Capitali, luogo irreale e fantastico di cui in fondo non ci si cura.
Presa dal sacro furore per la caligine, i pioppi e quelle lande desolate tanto romantiche nei film quanto tragiche nella vita reale, la Sgarbi rimette in scena l’imperativo di Amarcord, smembrando la Romagna nei suoi fotogrammi più celebri. In fondo, però, il liscio si riduce anche a questa voglia di pescare a piene mani da una cornucopia immaginifica, arraffando tutto ciò che si può arraffare, abbrancando questo o quello nel puerile (e stimabilissimo) tentativo di farlo proprio. Se dunque scendiamo dal nostro scranno d’impermeabili spettatori, ci accorgiamo che la prospettiva è quella giusta: la scena in cui Cavazzoni s’aggira nella foschia mimando gli stessi gesti del nonno di Federico-Titta Biondi appare stucchevole solo alla rigidità del critico. Lo spettatore se ne pasce, e batte il piede a terra incalzando il clarinetto.
Il corteo poi s’ingrossa di nuove maschere fino a sfrangersi in un formicaio indistinto: compaiono artisti di ogni generazione, legati fra loro dal raffinatissimo fil rouge del folk dialettale e genuino. La disposizione delle figure richiama l’universo circense di noi sappiamo chi, ma di freaks in carne ed ossa non c’è traccia – Orietta Berti, Biagio Antonacci, Jovanotti, Francesco Bianconi, Elio, Lodo Guenzi sono persone (non personaggi, anche se magari gli piacerebbe) perfettamente inurbate nelle loro fantasie musicali. Ma la regista è decisa a raccoglierli sotto il sacro tendone della nobilitante Arena felliniana.
Il risultato è divertente e dissonante, proprio come il punk godereccio degli Extraliscio – eppure, abbiamo come l’impressione che simili quadri si addicano di più ad un sassofono che non ad una cinepresa. In poche parole, il risultato dell’operazione si avvicina pericolosamente ad un brano di Vasco Brondi, rischiando di perdersi in voli pindarici ancor prima di giungere a destinazione. È il paradosso dell’Emilia ribelle, ingenua e schiettamente bolognese che contraddistingue il cantautorato più giovane: quello di girare attorno alle sue radici senza mai davvero toccarle.
In tal senso, l’unico effettivo déjà-vu è rappresentato dall’opulenta e sfuggente Roberta Cappelletti (com’è bene sottolineare, “con i soliti due p, due l, e due t”), sola carta del mazzo in grado d’incarnare una schiettezza rude e saturnina tanto tipica della laguna quanto esotica per i forestieri. Lo sguardo della regista vorrebbe dipingere i contorni della sua terra, e in parte ci riesce, salvo poi rifugiarsi fra le braccia di cliché a noi molto cari (ed è comprensibile). Ma sempre di cliché si tratta: siamo infatti ben distanti dalla Rimini cinematografica seppur prosaica a cui il nostro occhio, nel lontano 1973, cominciò a fare il callo. Sarebbe bello, per una volta, ricordare davvero e non limitarsi a ricordare il ricordo – impresa, lo sappiamo, non facile, ma in cui le nostre tre M (Marco, Moreno e Mauro) paiono eccellere.
Cast & Credits
Extraliscio- Punk da Balera – Regia: Elisabetta Sgarbi; sceneggiatura: Ermanno Cavazzoni; fotografia: Elisabetta Sgarbi; montaggio: Elisabetta Sgarbi; interpreti: Biagio Antonacci, Francesco Bianconi, Orietta Berti, Vasco Brondi, Roberta Cappelletti, Franz Cattini e Mario Andreose, Riccarda Casadei, Elio, Lodo Guenzi, Jovanotti, Bruno Malpassi, Leo Mantovani, Gli Omini, Antonio Rezza, Armando Savini, Michele Sganga; produzione: Betty Wrong in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna; origine: Italia 2020; durata: 90’; distribuzione: Nexo Digital.