Katika Bluu è il titolo del film di Stéphane Vuillet e Stéphane Xhroüet – presentato ad Alice nella Città nell’edizione 2023 della Festa di Roma – e tradotto dallo swahili ha un significato indicativo: essere nel blu. E blu sono le guance e la fronte di Bravò, come ogni giorno se le dipinge dopo aver pestato i colori, perché il blu è il colore del suo passato da soldato, quando lui si nascondeva tra le piante e con il mitra al braccio prendeva la mira, uccideva. Senza più famiglia, senza più fratelli, a quel tempo lui non era più una persona, ma anzitutto un tenente. Adesso è solo un bambino in un centro di Transito e Recupero (CTO), circondato da coetanei che hanno vissuto lo stesso destino e come Bravò provano a tornare alla vita quotidiana. Eppure lui non ci sta:
Voglio tornare nella foresta!
E la notte cadono i fulmini, e per lui sono bombe. A pranzo gli viene chiesto di servire, ma lui è tenente e non può per questioni di grado. I suoi nuovi compagni hanno degli animali da parte, di cui prendersi cura, e ai suoi occhi sono esseri da uccidere per sfogare la rabbia. Gli altri si radunano per decidere il suo destino, forse la punizione, e comunque lui viene perdonato.
È un altro mondo, tutto si è rovesciato: laddove c’era violenza dei nemici, ora c’è il perdono dei compagni. Forse può fuggirne, forse può combatterlo per sempre, forse può accettarlo. Di nuovo si aggira tra le piante, in mano non più un fucile ma una tubo di metallo e gli spari soltanto prodotti dalla bocca. I corpi degli amici che cadono, questa volta morti per finta.
I due registi Stéphane Vuillet e Stéphane Xhroüet si recano sul posto, nei centri di Transito e Orientamento della Repubblica del Congo, e costruiscono una storia plasmando a piene mani il materiale umano osservato. Gli attori, protagonisti e secondari, sono gli stessi ragazzi del CTO e la gestione della loro prova attoriale è buona: la mdp è brava a registrarne espressioni e azioni, con una scelta di quest’ultime capace di scandire la storia e le variazioni dello stato d’animo in modo efficace, senza richiedere sforzi professionali o prove attoriali d’eccezione. Claustrofobica nella prima parte, con primi piani insistiti e una visione del mondo attorno a riprodurre lo sguardo disorientato del protagonista, la mdp apre la visione con lo scoppio di un temporale: da lì in poi Bravò è nella comunità e deve aprire lo sguardo, accettare e farsi pian piano accettare dai nuovi compagni. L’inquadratura finale, con la ripresa di tutti i ragazzi alla fine di una partita di calcetto, è significativa di un tempo passato e di uno stato di sollievo identitario ormai raggiunto ma non definitivo.
Con un buon soundtrack a fare da tappeto, con rimandi tribali che danno ritmo alla narrazione, la selezione delle scene è ordinata ed efficace. Ogni episodio spicca tanto per significato quanto per bellezza: dalla finta caccia nella foresta, alla riunione per decidere le sorti di Bravò, al confronto con le madri che lo intimano di dare seguito alle sue cattive parole, sino al salto del fuoco che risemantizza l’atto di iniziazione svolto da Bravò nella sua vita da soldato e inaugura sia il parziale ritorno nella vita da bambino sia l’entrata nuova in quella di ex-soldato. E allora alla domanda delle madri e del direttore:
È pronto a tornare bambino?
La risposta non può essere una sola, ma più al contempo, come le vite vissute da Bravò. In una sola, almeno tre esistenze: bambino, soldato, ragazzo.
Katika Bluu è un ottimo prodotto, buono a riassumere in un’ora e venti un momento di vita e di crescita di un giovane. La durata limitata è certamente un pregio, soprattutto per il giovane pubblico. Efficace nell’evitare di perdersi in scene vuote o in drammatizzazioni spicce che porterebbero lo spettatore fuori dalla rotta, la narrazione è solida e fruibile, con un racconto dell’Africa che ne sfrutta la bellezza dei colori e l’animo in perenne stabilità traballante che la contraddistingue.
Alla fine Bravò riuscirà a tornare alla vita di tutti i giorni? Forse sì, forse no. Forse smetterà di tingersi di blu e accettare un altro blu, quello che colora cancelli, stipiti e porte del centro di Transito e Orientamento (il colore dell’Unicef), mentre lo sguardo va oltre, al mondo reale ancora da riconquistare.
Katika Blu – regia: Stéphane Vuillet, Stéphane Xhroüet; sceneggiatura: Stéphane Vuillet, Stéphane Xhroüet, Pierre Penneman; fotografia: Kinan Massarani; montaggio: Jeanne Plassier; interpreti: Baraka, Moïse, Paul; produzione: Hélicotronc; origine: Belgio, 2023; durata: 80’.