Festival dei Popoli: Joan Baez: I Am a Noise di Karen O’Connor, Miri Navasky, Maeve O’Boyle (Film d’inaugurazione)

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L’immagine, si sa, può sviare, la personalità pubblica non coincidere con la persona. Succede anche ai cantanti. Qui però è la voce che può sviare. Nel pacato controllo vocale si possono celare tormenti, traumi, anche malattie mentali. Joan Baez è stata la voce femminile della controcultura anni 60, del pacifismo e dell’anti-bellicismo. La sua gentile voce sondava la possibilità di un nuovo modo di stare al mondo, invitava un’intera generazione a deporre le armi. La sua voce era la sua personalità pubblica e proprio per questo non poteva dar voce a quel che celava dentro. Tornando sull’archivio personale della cantante (diari, lettere, filmini), il documentario I Am A Noise, presentato prima alla Berlinale e poi in anteprima italiana al Festival dei Popoli come film d’apertura, scava nella profondità della sua voce per rivelare una segreta vicenda di problemi mentali e rimozioni.

L’occasione per un documentario è il tour d’addio della cantante del 2018. Il film assume fin dall’inizio lo sguardo retrospettivo della cantante che riflette sul suo percorso passato, la sua vita presente e le incertezze del futuro. I tre piani si intersecano continuamente in una narrazione che fluttua tra temporalità diverse rendendo più spettacolare quel che poteva essere una semplice agiografia. Da un apparentemente felice infanzia si passa quasi subito all’improvviso successo giovanile che gli impedisce una formazione più controllata della propria personalità. Travolta dal peso del successo, in un tempo di contestazione costruisce la sua postura esistenziale sulle battaglie sociali.

Joan Baez non era una teorica, una pensatrice, ma semplicemente colei che dava voce ai tormenti di una generazione, ai testi scritti per lei dal vero poeta Bob Dylan. Ma passato il tempo delle battaglie, la sua voce sembra perduta in un mondo che non gli fornisce più alcuna direzione. Qui l’agiografia si spezza e la Santa rivela una storia di depressione, nevrosi, attacchi di panico, fobie incontrollate. La sua psiche si rivolge al passato ma sembra fuori controllo, a differenza della sua voce, che non può più darsi, che rimane fino a oggi in silenzio su questa storia.

Il film ri-anima quindi l’archivio della cantante, come già aveva fatto Brett Morgen in Montage of Heck (2015) per Kurt Cobain. Ma qui di quell’indiscernibilità tra persona e artista c’è ben poco e anzi rimane una sensazione d’incapacità di distaccarsi dallo sguardo della Baez, in particolare nei momenti in cui si parla di ipotetici abusi da parte del padre, abusi denunciati decenni fa da lei e da sua sorella che comportarono un allontanamento dalla famiglia. Situazioni delicate che necessitavano di maggiore distanza rispetto a una narrazione in prima persona, malgrado l’atteggiamento della Baez oggi sia di accettazione. I Am A Noise, nel suo passaggio da agiografia a traumatografia, sembra voler speculare sulla debolezza mentale della protagonista, su una voce rumorosa non perché scomoda ma perché incapace nella vita privata di raggiungere quel controllo che ha ottenuto sul palco.


Joan Baez I Am A NoiseRegia: Karen O’Connor, Miri Navasky, Maeve O’Boyle; fotografia: Wolfgang Held, Ben McCoy, Tim Grucza; montaggio: Maeve O’Boyle; musica: Sarah Lynch; interpreti: Joan Baez, Mimi Farina, Bob Dylan, David Harris; produzione: Miri Navasky per Mead Street Films, Karen O’Connor, Greg Sarris, Patti Smith, Josh Braun, Ben Braun, Terry Press; origine: USA, 2023; durata: 113 minuti.

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