Festival di Berlino 2023 – Un commento ai Premi del Concorso

Foto di tutti i premiati a Berlino 2023 (sezioni ufficiali)

Si resta abbastanza sconcertati, forse anche piuttosto arrabbiati, a scorrere i premi, annunziati nella sera di sabato 25 durante la cerimonia finale del Concorso della Berlinale 2023. La mistura esplosiva di voglia di stupire e di politicamente corretto ha finito per produrre un mostro che non accontenta nessuno, almeno nel campo della critica – non vogliamo generalizzare ma comunque la nostra di Close-Up.
Cominciamo dalle poche cose per noi condivisibili.

Christian Petzold

Si è deciso di premiare , ma è abbastanza ridicolo che un regista di 62 anni continui con estrema lentezza a scalare la classifica qui nel maggior festival del suo paese: nel 2006 vengono premiate per Yella la montatrice Bettina Böhler e l’attrice Nina Hoss; nel 2012 riceve per La scelta di Barbara il premio per la migliore regia; nel 2020 Paula Beer ottiene l’Orso d’Argento per Undine e adesso nel 2023 Petzold ottiene il Gran premio della Giuria. Come a dire: dopo 6 presenze in concorso il regista non è ancora in grado di vincere l’Orso d’Oro. E il suo film, Roter Himmel indubbiamente questa volta lo poteva meritare, come si è qui scritto.

Restiamo al cinema tedesco – per la cronaca 5 film in Concorso, tre nel Palmares finale, neanche i francesi a Cannes arrivano a tanto… – e  parliamo di Angela Schanelec, altra figura di riferimento della cosiddetta “Berliner Schule”. Già premiata nel 2019 con l’Orso d’Argento alla Regia per Ich war zuhause, aber, adesso ottiene il premio per la sceneggiatura di Music, una sceneggiatura piena di buchi, di incongruenze, che si fa davvero fatica a considerare la migliore fra quelle viste nel Concorso.
La cosa, a nostro avviso, però, più scandalosa è la scelta dei premi agli attori: si premia da un lato la spagnola  Sofia Otero, che al suo primo film, 20.000 especies de abejas interpreta un ragazzino che si sente ragazzina, e dall’altra un’attrice trans Thea Ehre, praticamente esordiente in Bis ans Ende der Nacht, l’ultimo titolo passato in competizione, di un altro rappresentante, il terzo,  della cosiddetta “Berliner Schule”, Christoph Hochhäusler – con un film che, a essere generosi, ha lasciato molto labili segni. Nessuno discute la qualità dei premiati ma è una questione di principio, ontologica: si tratta in entrambi i casi di un atto di sommo dispregio nei confronti degli attori e delle attrici come categoria professionale e in più con una Presidente di Giuria, Kristen Stewart, essa stessa attrice di mestiere. Qualcosa non ci torna.

Scegliere Philipp Garrel per il Premio per la Regia ci sta e può essere giusto, non foss’altro per la grande tradizione autoriale e la filmografia assolutamente importante che si porta dietro l’autore francese, gran erede e prosecutore della Nouvelle Vague, anche se il suo Le Grand Chariot non ci è parso, come abbiamo scritto, memorabile. Come a dire, un atto di risarcimento dovuto.

Hélène Louvart e Giacomo Abbruzese

Molto più interessante, ad esempio, come regia, giusto per fare un esempio, è quella di un debuttante italiano come Giacomo Abbruzzese per Disco Boy, del cui film – per altro di produzione sempre francese – si è premiata la direttrice della fotografia: Hélène Louvart. L’asse franco-tedesco regge e conquista 6 premi su sette. Riguardo all’Orso d’oro Sur l’Adamant qui diremo. Completa un Palmares eurocentrico al 100%  Mal Viver del portoghese João Canjio che ha alle spalle una carriera molto intensa, tra documentari e film di finzione tra cui si ricorda  Sangue do meu Sangue che al Festival di San Sebastian del 2001 aveva vinto il Premio della critica internazionale, Fipresci. Qui a Berlino era presente anche con un’opera speculare Viver Mal   in “Encounters” mentre nel film del Concorso raccontava una storia di una famiglia di dei proprietari di un Hotel nel secondo invece si concentrava sulle storie dei ospiti dello stesso Hotel. Il tutto con la celebre lentezza meditativa che rappresenta la chiave di volta del cinema del suo paese e su cui si possono avere opinioni altamente contrastanti – da ciò sospendiamo ogni giudizio. Dunque il resto del mondo dall’Australia di Limbo agli Usa e l’America Latina – in particolare  l’ottimo messicano Totem  – all’estremo Oriente (ad esempio un altro film che abbiamo molto apprezzato  The Shadowless Tower di Zhang Lua) sono stati tutti bellamente ignorati. Ma si sa: le decisione delle Giurie ai grandi Festival internazionali sono imprevedibili e soggette a misteriosi, insondabili equilibri.
Da notare, però, che durante la cerimonia di premiazione tutti i membri di tutte le giurie hanno preso la parola. Unica eccezione il regista di action movie hongkongese Johnnie To, uno di sette giurati internazionali (l’ultimo a destra nella foro di copertina che sbaglia), è rimasto muto come un pesce sul suo divano e non ha neanche mai salutato la sala. Probabilmente tale atteggiamento era dovuto alla presumibile difficoltà di esprimersi in inglese o altri problemi di lingua ma ci piacerebbe pensare che invece abbia voluto così distanziarsi da un Palmares ideologico che non gli piaceva. Così come noi.

Giovanni Spagnoletti (anche per le foto brutte) e Matteo Galli

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