Il gabbiano per la regia di Leonardo Lidi

  • Voto

Ma non venite a dirmi che è un capolavoro…

Il gabbiano di Anton Pavlovič Čechov è un gabbiano morto. Né vola né vivo lo è più, è stato invece ammazzato perché…perché sì, per passare il tempo, da parte di un uomo annoiato dalla vita. Perché questo è Čechov : personaggi deboli vinti dalle passioni ma al contempo morbosamente affascinati dalla decadenza. Amore e fallimento, a stretto contatto. E così si può notare che

Come siete tutti nervosi! Come siete tutti nervosi! E quanto amore… oh, lago stregato!

E intorno a un lago tutti si trovano, in una tenuta di campagna. Konstantìn, un drammaturgo alle prime armi, li conta uno a uno al suono di “m’ama, non m’ama” e il suo dito indica lo zio pentito da una vita di rinunce, il pratico amministratore della tenuta, la depressa figlia che sposa un maestro di elementare dolce ma lento di comprendonio, un dottore, la musa Nina, figlia di un ricco proprietario terriero del luogo e con il sogno di diventare attrice, ma infine la mano punta il suo obiettivo, la madre Irina, attrice famosa ormai al tramonto. Così uno sconsolato Konstatìn ammette

No, non mi ama. Lo vedi? Mia madre non mi ama.

Perché Konstatìn vorrebbe essere all’altezza della famosa madre, anzi, come l’amante della madre, il celebre poeta Trigòrin, che però a sua volta ha messo gli occhi proprio su Nina, la musa del giovane. È quindi un ingranaggio violento quello che si mette in moto: Irina deve tenersi vicino il suo amante che vorrebbe rimanere nella tenuta con la novella attrice, Nina s’innamora del fascino letterario di Trigòrin, Trigòrin non sa cosa fare perché è senza forza di volontà e infine Kostantìn crede di amare Nina ma in realtà ama ciò che non sarà mai, un drammaturgo famoso, e quando la madre commenta un suo lavoro in questo modo

Ma non venite a dirmi che è un capolavoro…

La reazione è presto detta e a farne le spese è il gabbiano, o chi il gabbiano rappresenta

Una giovane donna vive tutta la sua vita in riva a un lago.

Lei ama il suo lago, come un gabbiano, ed è felice e libera, come un gabbiano.

Ma per caso arriva un uomo, e quando la vede la distrugge, per pura noia.

Come questo gabbiano.

Leonardo Lidi prende l’opera più meta teatrale di Čechov e non la mette sul palcoscenico, bensì crea un palcoscenico sul palcoscenico stesso. Le pareti del teatro Vascello sono scarnificate, tre nuovi sipari sono montati ai lati, le quinte sono avanzate a fondo palco e lì si siedono i personaggi, perennemente in scena. Così tutti sono sotto gli occhi di tutti, come una partita di scacchi a cielo aperto. Ma attenti al cielo, perché può cadere da un momento all’altro. Le luci si abbassano con l’andare dei quattro atti fino a che si appoggiano per terra e il teatro stesso diventa da contenitore a primo ostacolo per gli attori che si vedono le loro astrazioni, la loro decadenza idealistica, rovesciarsi tra loro.

Perché Il gabbiano è un testo di fallimento. I personaggi non sono altro che parodia del reale teatro come della reale letteratura. Tolstoj, Maupassant, Zola sono i nomi che rotolano come macigni tra loro, così le parole di Amleto stesso, e loro personaggi ben poca figura fanno a confronto. Dopotutto, lo zio dice

Nella mia vita volevo sposarmi o diventare scrittore.

Non sono riuscito a fare né l’uno né l’altro.

Alla fine c’è chi al fallimento resiste e chi invece il fallimento lo abbraccia e per passare il tempo distrugge la sua come le altre vite. Nel mezzo, oppresso dagli idealismi e dall’overthinking borghese, cerca di farsi spazio il sentimento più forte, l’amore, ma quanto fatica l’amore a sopravvivere all’astrattismo decadente. E ciò che rimane è solo amore masochisticamente strozzato dal mal di vivere.

Leonardo Lidi ha perciò una direzione chiara, rispettosa non intrusiva, e fa buone scelte, con il supporto di un buonissimo cast. L’opera checoviana è uno splendore e si deve essere capaci di lavorare lateralmente senza rovinare il testo, per questo motivo la regia lavora sull’operazione metateatrale, nonché sulla scansione dei tempi attraverso l’uso degli attrezzi e di intervalli ballati che fa tanto Russia. La discesa delle luci a scandire il passare degli atti è interessante, diventa forse eccessiva quando cala completamente: è efficace in termini narrativi – mette in concreto la caduta e il reale peso degli astrattismi una volta calati nella realtà -, ma rende didascalico qualcosa che la vicenda già racconta appieno. È comunque una buona scelta, in linea con il gioco degli spazi e del limite teatrale che già da anni sono elemento primo in teatro, con parola e gesto ad adattarsi – si pensi all’Amleto di Corsetti andato in scena quest’anno all’Argentina. Prima si crea la scacchiera, poi viene il resto. E questo funziona.

Luci calate, sipari tirati, a fine spettacolo la conta delle pedine è rifatta, e tra coloro che sono stati mangiati, altri caduti per conto proprio e una regina che abbandona la scena, sul palco rimane l’ultimo alfiere del mal di vivere, Kostantìn. Poi è scacco finale. Scacco matto russo, a se stesso.

In scena fino al 5 marzo al Teatro Vascello, Roma.


Il gabbiano/progetto Čechov  – prima tappa di Anton Čechov – regia: Leonardo Lidi; scene e luci: Nicolas Bovey; costumi: Aurora Damanti; suono: Franco Visioli; assistente alla regia: Noemi Grasso; interpreti: Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Francesca Mazza, Orietta Notari, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna, Angela Malfitano; produzione: Teatro Stabile dell’Umbria, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale; in collaborazione: Spoleto Festival dei Due Mondi,

1 thought on “Il gabbiano per la regia di Leonardo Lidi

  1. Visto e apprezzato il 5 marzo al teatro Vascello, non posso dire però di condividere la scelta del regista per quanto riguarda l’eccessiva amplificazione sonora. Va bene dotare gli attori di microfono, ma la sensazione è di estraneità e appiattimento del suono, come se fossi davanti ad un televisore e non a teatro. Mi piace percepire la voce dell’attore proveniente dal fondo, da un lato o da un altro e non sempre e comunque dal punto fisso in cui si trova la cassa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *