Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova di Giancarlo Scarchilli

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Mettiamola così: se Giancarlo Scarchilli avesse scelto un titolo diverso da quello con cui ha presentato il suo documentario su PPP (Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova) ci limiteremmo a descrivere come è costruito il film, quali sono le persone intervistate, il materiale citato, in che modo il film si pone nell’ampio panorama, che nell’anno del centenario, il passato 2022, è andato vieppiù a ingrandirsi, della letteratura pasoliniana. Con questo titolo invece chi scrive viene interrogato in prima battuta sul quesito che il film pone (ovvero sulla dichiarazione che proclama): che cosa c’è di nuovo in questo film che già non sapevamo? Diciamolo fin da subito, non tantissimo. Sia sul piano formale che su quello dei contenuti ci troviamo di fronte a un onestissimo prodotto con il regista a fungere qua e là da testimone audio/video che ripercorre dati, fatti, evidenze che uno spettatore mediamente informato sul conto di PPP conosce già. E lo fa, come si conviene a un documentario, in particolare a un documentario dedicato a un cineasta e più in generale a un intellettuale molto presente nei mass-media che pure severamente condannava, ricorrendo alla consueta mescolanza di a) footage; b) estratti dei film; c) interviste ideate all’uopo.

Esaminiamo i tre reperti testuali separatamente, partendo dal footage. Qui troviamo moltissime interviste a collaboratori e allievi di Pasolini: da Tonino Delli Colli (direttore della fotografia), a Nino Baraldi (montaggio), da Alfredo Bini (produttore) a Ennio Morricone (musicista), Danilo Donati (costumista), Dante Ferretti (scenografo) per arrivare a Laura Betti (amica, caregiver, vedova di Pasolini) a Sergio Citti, regista e collaboratore storico. La testimonianza di gran lunga più importante, seppur tutt’altro che inedita, è e resta quella di Bernardo Bertolucci (il più importante fra i molteplici collaboratori e allievi di PPP, convocati nel film, in larga parte purtroppo già defunti, al pari del loro maestro e regista: Vincenzo Cerami, Moricone, Bertolucci, l’unico ancora vivo è Dante Ferretti), notoriamente assistente alla regia di PPP in Accattone. Nei lacerti di almeno tre diverse interviste riportate nel film, Bertolucci racconta come conobbe Pasolini (PPP che suona una domenica a casa Bertolucci verso la metà degli anni ’50 e Bernardo quindicenne lo lascia sul pianerottolo scambiandolo per un malintenzionato, un ladro, mentre va ad avvertire il padre Attilio che gli dice di aprirgli subito, è un celebre poeta!), l’apprendistato appunto con il film d’esordio, fino alla rottura che avvenne in occasione di Ultimo tango a Parigi, di cui tuttavia saranno altri a parlare. Bellissima l’affermazione di Bertolucci  quando dice che nei momenti di crisi creativa Accattone resterà una specie di scaturigine prima, di semplicità originaria a cui sempre provare a richiamarsi. All’interno del footage vanno, ovviamente, segnalate anche alcune, poche, interviste a PPP, che abbiamo già visto mille volte, soprattutto quelle in cui il regista si fa portavoce di quelle che dall’inizio degli anni ’60 diventano le sue idee cardine: l’omologazione della piccola borghesia italiana, il consumismo etc etc. E qui è impossibile non provare per l’ennesima volta il disagio di sentire PPP dichiarare che le persone da lui preferite sono quelle che non hanno fatto neanche la quarta elementare, testimonianza di quella ossessione rousseauiana della verginità, della naturalità, della selvaticità assai problematica da diversi punti di vista, su cui non mi diffonderò.

Con gli estratti dei film ce la caviamo più brevemente: sono piuttosto pochi. Il più citato è, nettamente, Accattone, testo primo e primario del Pasolini cineasta non ancora cineasta (che addirittura interrompe le riprese perché Fellini, alla visione dei giornalieri, gli dice: mio caro tu sei un grande poeta, un grande romanziere ma non sai fare cinema, suscitando una profonda disperazione in PPP), ma poi qualche scena da Mamma Roma, da Uccellacci e uccellini e da Medea, soprattutto per documentare la produttiva interazione, la compresenza, fortemente voluta da Pasolini  fra icone cinematografiche e non solo (Anna Magnani, Totò, Maria Callas) di personaggi, appunto, iconici e iperstrutturati sul piano performativo e non professionisti (Franco Citti,  Ninetto Davoli, Giuseppe Gentile).

La terza sezione, diciamolo subito, è la più debole, quella dei testimoni odierni, perché si fa fatica soprattutto qui a trovare cose davvero nuove, cominciando da Scarchilli e proseguendo con i molti, a mio avviso: troppi altri intervistati, in ordine alfabetico: Matteo Anastasi (critico), Pupi Avati (regista), Alessio Boni (attore), Filippo Ceccarelli (giornalista), Caterina D’Amico (Preside della Scuola Nazionale di Cinema), Giancarlo De Cataldo (scrittore), Ugo De Rossi (montatore del presente film), Giuseppe Gentile (atleta e, con Pasolini, attore) Blasco Giurato (direttore della fotografia del presente film), David Grieco (regista, sceneggiatore), Felice Laudadio (regista), Daniele Luchetti (regista), Giuseppe Manfridi (scrittore), Luigino Piccolo (costumista), Andrea Purgatori (giornalista), Walter Veltroni (uomo politico, etc.) Carlo Verdone (regista).

Tutte queste persone, alcune notissime, vengono convocate per alimentare, chi con maggiore chi con minore originalità molte cose che già sappiamo, per contribuire al mito Pasolini, su cui ebbe a scrivere una quindicina d’anni fa parole definitive Walter Siti. Quando poi Alessio Boni negli ultimi minuti recita Io so, l’affermazione apodittica del titolo finisce per risultare francamente irricevibile. A meno che il sottotitolo non si riferisca allo stesso Pasolini, portatore di una visione nuova. In tal caso, ok!

Presentato in anteprima alla 40° edizione del Festival di Torino (2022).

In sala il 5-6-7 marzo (Evento speciale)


Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova; regia, sceneggiatura: Giancarlo Scarchilli; fotografia: Blasco Giurato; montaggio: Ugo De Rossi; produzione: MG Production; ; origine: Italia 2022; durata: 71′. distribuzione: Medusa.

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