Il caso ha voluto che gli ultimi tre film di Agnieszka Holland (Varsavia 1948) siano stati presentati a Berlino e io li abbia recensiti. Parlo di Spoor (2017, mai uscito in Italia) Mr. Jones (2019, uscito con il titolo L’ombra di Stalin ma solo in piattaforma) e Charlatan (202o, in italiano con l’aggiunta Il potere dell’erborista, uscito, almeno questo, al cinema). Il primo è la trasposizione di un romanzo della scrittrice premio Nobel Olga Tokarczuk, ambientato in una regione di frontiera fra la Polonia e la Repubblica Ceca, un testo ecologico-politico che si vena di sfumature thriller, il secondo rievoca lo holodomor, la carestia degli anni ’30 in Ucraina, voluta da Stalin, il terzo è un period film ambientato in Cecoslovacchia sulla figura ambigua di un guaritore durante la Guerra Fredda, anch’esso un film politico. Sono tutti film politici gli ultimi film di Holland , anche se la regista polacca in contemporanea non si perita di dirigere diverse puntate di serie americane, fra le quali alcune famosissime come House of Cards, The Affair, ma anche polacche, come 1983 del 2018, la prima serie in assoluto che i polacchi hanno autonomamente prodotto per Netflix.
Con Green Border, di cui ha parlato nella sua recensione Giovanni Spagnoletti direttamente da Venezia, Holland compie un decisivo salto di qualità e di potenza rispetto al gradiente politico dei suoi tre film precedenti, non soltanto per il semplice fatto che il film è sì ambientato nel passato – un passato che è anche, che è ancora purtroppo presente – ma anche perché la regista si pone un obiettivo ambiziosissimo, ossia di “creare” immagini rispetto ad eventi che di immagini sono stati e sono programmaticamente, deliberatamente privi, attribuendo così al cinema la più alta funzione civica che esso possa avere, in un’epoca in cui il cinema deve, gioco forza, confrontarsi con e posizionarsi rispetto ad altre immagini esistenti. Qui vale l’esatto contrario.
In un incontro tenutosi in ottobre 2023, in margine alla presentazione del film al New York F.F., Holland ha esordito dichiarando che gli Stati Uniti hanno perso la guerra in Vietnam soprattutto per colpa della costante presenza dei media – dalla fotografia al cinema, appunto, e all’epoca, si sa, non c’era internet, non c’erano i social media – sul fronte di quella guerra, che nella società moderna la presenza di media condiziona pesantemente il punto di vista dell’opinione pubblica. È questa la ragione neanche troppo implicita che ha indotto le autorità polacche a impedire che nel green border di cui al titolo – ovvero la zona di confine fra la Polonia e la Bielorussia, dove dal 2021 fino ad oggi, vengono sballottate centinaia, migliaia di migranti provenienti dal Medio Oriente e dell’Africa – non sia concesso ai giornalisti di ogni ordine e grado di penetrare. Nessuno doveva, nessuno deve sapere che cosa sta accadendo: che Lukashenko (e con lui Putin), con un’operazione a dir poco delittuosa, hanno usato (stanno usando) dei disperati per mettere sotto pressione l’Unione Europea, che la Polonia, dopo un primissimo momento in cui ha fatto entrare i primi malcapitati, ha smesso di accoglierli, ricacciandoli indietro, che – fatte salve poche eccezioni – le guardie polacche di frontiera condividono questa decisione e la applicano con rigore, che le associazioni umanitarie sono state (sono) poco efficaci, quasi imbelli e che in tutto questo, in una zona anche particolarmente impervia dal punto di vista geografico (tanta foresta, soprattutto tanta palude) un numero imprecisato di esseri umani ci ha rimesso la vita.
Ebbene a fronte di tutto ciò Holland ha coraggiosamente deciso di produrre quelle immagini che il governo polacco fascista, razzista aveva deciso di negare all’opinione pubblica. L’impresa non è stata per nulla facile. Nel citato incontro di New York, Holland ha raccontato la difficoltà nel reperire fondi, ci sono voluti molti mesi per dar vita a una coproduzione (Polonia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio) che ha permesso di finanziare il film, col rischio (e al tempo stesso in qualche modo l’auspicio) che il film lentamente perdesse di attualità.
Dello stile del film, dei personaggi, ha già parlato Giovanni nella sua recensione, delle figure create da Holland non starò a rielencare identità e la funzione all’interno del film.
Di un’ultima cosa però vorrei parlare: l’epilogo apparentemente solidale, targato 2022, con i profughi ucraini in fuga dall’invasione russa, benevolmente accolti al confine polacco e indirizzati ai vari autobus diretti nelle differenti città polacche, non è, a mio avviso, da vedere come uno happy end o come un barlume di ottimismo, al termine di un film così cupo e anche così scuro, visto che la gran parte delle scene si svolge di notte, ma bensì come ulteriore sottolineatura di due aspetti: 1) che il governo polacco è (era, lo speriamo dopo che Tusk, via coalizione, è risultato vincitore) profondamente razzista, i profughi medio-orientali, i profughi africani possono comodamente morire; 2) che la presenza dei media (e fin dal febbraio del 2022 i media sono stati presenti nella guerra russo-ucraina) condiziona profondamente l’agire politico.