Green Border di Agnieszka Holland


Lo ripetiamo ancora oggi alla sua uscita in sala. Quando Green Border venne presentato allo scorso Festival di Venezia, eravamo andati alla proiezione con un certo scetticismo rispetto all’ultima opera di Agnieszka Holland che invece ci ha consegnato un film appassionante e commovente come pochi quest’anno alla Mostra dove ha meritatamente vinto il Gran Premio Speciale della Giuria.

La regista polacca ci conduce per mano, tra il 2020 e il 2021, nelle paludi e nelle foreste del cosiddetto “confine verde” tra Bielorussia e Polonia, dove gli emigranti provenienti soprattutto dal Medio Oriente e dall’Africa cercavano e cercano di raggiungere, tramite la Polonia, l’Unione Europea. In un nitido ed efficace bianco&nero il film è costruito soprattutto su una serie di personaggi in una struttura a capitolaggio che li descrive e illumina l’allucinante status quo della situazione. E così seguiamo sempre più intrecciate nel corso della narrazione le vicende della psicologa Julia, che abbandona una tranquilla esistenza borghese per diventare un’attivista politica; e poi la lenta trasformazione di Jan, una giovane guardia di frontiera con moglie incinta, nello sviluppare un barlume di umanità nei confronti dei profughi; e ancora la storia di una famiglia siriana a cui si aggiunge una donna afghana che cercano di passare il confine ma che vengono, insieme ad altri rifugiati cinicamente sballottati da una parte e dall’altra della filo spinato, come fossero letteralmente dei sacchi di patate. Quando, infatti, riescono fortunosamente a passare in occidente vengono catturati e rispediti al mittente e poi come in un gioco perverso si ricomincia da zero. Da una parte una polizia e un esercito, quelli polacchi, che definire democratici sarebbe un’onta al sentire comune, indottrinati come sono da cinici capi e politici nazionalisti, dall’altro la milizia altrettanto spietata del dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko che gioca in questo modo a sfidare la EU. Nel mezzo dei poveracci che vengono aiutati da un piccolo gruppo di attivisti (alcuni dei quali abbastanza fuori di testa) i quali, nei limiti che la legge d’emergenza consente in una zona quasi di guerra, cercano, come possono, di portare aiuto e salvare le vite di questi disgraziati, coinvolti in una sorta di inferno in terra.


Con Green Border, Agnieszka Holland dai lontani tempi di Raccolto amaro (Bittere Ernte, 1985) o Europa Europa (1990) non ci consegnava un’opera tanto coraggiosa e impegnata nel descrivere una situazione insostenibile e, insieme, smascherare l’ignavia morale e il latente fascismo degli attuali governanti del suo paese (che poi, purtroppo, l’Europa tollera o è costretta a tollerare).
Il film, dopo aver raccontato per filo e per segno tanti orrori e autentiche forme di barbarie, si conclude con un barlume di speranza e descrive nell’epilogo il differente trattamento che è stato riservato agli ucraini, dopo l’inizio della guerra con la Russia. È questa senz’altro la parte più debole e conciliatoria di un’opera per larghissimi tratti coerente e “di ferro” quanto, a suo tempo, lo è stato il cinema di grandi registi connazionali come Jerzy Skolimowski o Andrzej Wajda.

In sala dall’8  febbraio


Green Border  (Zielona Granica) – Regia: Agnieszka Holland; sceneggiatura: Maciej Pisuk, Gabriela Łazarkiewicz-Sieczko, Agnieszka Holland; fotografia: Tomasz Naumiuk; montaggio: Pavel Hrdlička; musica: Frédéric Vercheval; scenografia:  Katarzyna Jędrzejczyk; interpreti: Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Tomasz Włosok, Behi Djanati Atai, Mohamad Al Rashi, Dalia Naous; produzione: Metro Films (Marcin Wierzchosławski), Astute Films (Fred Bernstein), Metro Lato (Agnieszka Holland), Blick Productions (Maria Blicharska-Lacroix, Damien McDonald), Marlene Film Production (Šárka Cimbalová), Beluga Tree (Diana Elbaum, David Ragonig), dFlights (Dominika Kulczyk), Downey Ink. (Mike Downey); origine: Polonia/ Francia/ Repubblica Ceca/ Belgio, 2023; durata: 152 minuti;  distribuzione: Movie Inspired.

 

 

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