Aku wa sonzai shinai di Ryusuke Hamaguchi e Zielona Granica di Agnieszka Holland – Premi della Giuria

Avevamo recuperato prima della serata della Premiazione di Venezia, sabato sera 9 settembre, questi due trai film migliori passati nel Concorso veneziano che complessivamente, purtroppo, ci è sembrato trai più deboli degli ultimi anni. Ed, infatti, abbiamo avuto ragione anche se non era particolarmente difficile. Al film del giapponese Ryusuke Hamaguchi  è andato il Gran premio della Giuria mentre alla polacca Agnieszka Holland il Premio speciale della Giuria.

Iniziamo da Aku wa sonzai shinai (Evil Does Not Exist ) di Ryusuke Hamaguchi,  quel grande regista che ci aveva sorpreso ed emozionato con un incredibile, quasi inaspettato “passo doppio” nel 2021: prima con Il gioco del destino e della fantasia (Orso d’argento alla Berlinale) e poi a pochi mesi di distanza con Drive My Car, adattamento di 3 ore dall’omonimo racconto di Haruki Murakami (Premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes e Oscar come miglior film straniero del 2022).
Rispetto a questi due film bellissimi ma più tradizionalmente narrativi, il suo ultimo lavoro sembrerebbe riportarlo maggiormente alle sue origini “indi” con uno spiccato interesse per le questioni ecologiste e una tipologia di narrazione esistenziale. Stando alle dichiarazioni del regista a guidarlo in questo nuovo lavoro è stato soprattutto, di nuovo, la collaborazione con la cantante e musicista Eiko Ishibashi con cui aveva fatto anche il precedente Drive My Car. Ed infatti tutto l’inizio con una interminabile carrellata dal basso sugli alberi di un bosco punteggiata da un accompagnamento musicale dissonante (che poi circolarmente ritorna nel finale), conferisce un’aura, sia mistica sia sperimentale, al film. Dopo un lungo incipit, ci viene presentato e descritto, oltre all’habitat naturale, il protagonista Takumi, un severo uomo tuttofare, che con la piccola figlia Hana vivono nell’appartato villaggio di Mizubiki, non molto distante da Tokyo. Quello che li contraddistingue è che lì conducono una vita modesta dettata dai cicli e dall’ordine della natura e delle stagioni come tutte le generazioni che li hanno preceduti. Un giorno, la quiete di questa oasi naturista viene turbata dall’arrivo di due delegati di una grande azienda della Capitale: in un’assemblea comunicano l’intenzione di costruire in zona un glamping – un campeggio di lusso – che certo porterebbe nuovo benessere alla piccola comunità montana ma contemporaneamente turberebbe in modo irreparabile l’equilibrio ecologico del luogo. Quanto segue sono le complicazioni sui vari personaggi che – per usare dei termini mutuati dal primo Thomas Mann – questa irruzione della Zivilitation dentro la Kultur comporta, sino al criptico ma affascinante finale dove lo spettatore è chiamato a interpretare il senso di quanto vede o meno nella sequenza conclusiva in cui la piccola Hana si trova minacciata da un cervo ferito (che quindi potrebbe diventare molto pericoloso per lei).

Film molto lento, meditativo ed enigmatico già a partire dal titolo, Aku wa sonzai shinai è di sicuro molto meno immediatamente godibile delle due precedenti opere di Hamaguchi ma possiede pur sempre un gran fascino segreto che si rivela o si occulta via via che la storia procede, mutando anche in parte le psicologie delle figure messe in scena. Ci sembra essere oltretutto molto in linea con la tradizione classica del cinema giapponese, assolutamente più nella linea Ozu/Mizoguchi che non in quella Kurosawa.  Assolutamente sconsigliato a chi ama solo l’action movie americano. Valutazione ****


Aku wa sonzai shinai (Evil Does Not Exist Regia e sceneggiatura: Ryusuke Hamaguchi; fotografia: Yoshio Kitagawa; montaggio: Ryūsuke Hamaguchi, Azusa Yamazaki; musica: Eiko Ishibashi; scenografia: Masato Nunobe; interpreti: Hitoshi Omika, Ryo Nishikawa, Ryuji Kosaka, Ayaka Shibutani, Hazuki Kikuchi, Hiroyuki Miura; produzione: NEOPA (Satoshi Takata); origine: Giappone, 2023; durata: 106 minuti; distribuzione: Tucker Film e Teodora Film.

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Cosi come poco ci attendevamo da Luc Besson con DogMan e siamo stati smentiti, altrettanto è avvenuto con la polacca Agnieszka Holland che invece ci ha consegnato un film appassionante e commuovente come pochi quest’anno alla Mostra.
Parliamo di Zielona Granica (Green Border) che ci conduce per mano tra il 2020 e il 21 nelle paludi e nelle foreste del cosiddetto “confine verde” tra Bielorussia e Polonia, dove gli emigranti provenienti soprattutto dal Medio Oriente e dall’Africa cercavano e cercano di raggiungere tramite la Polonia l’Unione Europea. In un nitido ed efficace bianco&nero il film è costruito soprattutto su una serie di personaggi in una struttura a capitolaggio che li descrive e illumina l’allucinante status quo della situazione. E così seguiamo sempre più intrecciate nel corso della narrazione le vicende della psicologa Julia, che abbandona una tranquilla esistenza borghese per diventare un’attivista politica; e poi la lenta trasformazione di Jan, una giovane guardia di frontiera con moglie incinta, nello sviluppare un barlume di umanità nei confronti dei profughi; e ancora la storia di una famiglia siriana a cui sia aggiunge di una donna afgana che cercano di passare il confine ma che vengono con altri rifugiati cinicamente sbattutati da una parte e dall’altra della filo spinato come fossero letteralmente dei sacchi di patate. Quando, infatti, riescono fortunosamente a passare in occidente vengono catturati e rispediti al mittente e poi come in un gioco perverso si ricomincia da zero. Da una parte una polizia e un esercito, quelli polacchi, che definire democratici sarebbe un’onta al sentire comune, indottrinati come sono da cinici capi e politici nazionalisti, dall’altro la milizia altrettanto spietata del dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko che gioca in questo modo a sfidare la EU. Nel mezzo dei poveracci che vengono aiutati da un piccolo gruppo di attivisti (alcuni dei quali abbastanza fuori di testa) i quali, nei limiti che la legge d’emergenza consente in una zona quasi di guerra, cercano, come possono, di portare aiuto e salvare le vite di questi disgraziati coinvolti in una sorte di inferno in terra.

Con Zielona Granica, Agnieszka Holland dai lontani tempi di Raccolto amaro (Bittere Ernte, 1985) o Europa Europa (1990) non ci consegnava un’opera tanto coraggiosa e impegnata nel descrivere una situazione insostenibile e, insieme, smascherare l’ignavia morale e il latente fascismo degli attuali governanti del suo paese (che poi, purtroppo, l’Europa tollera o è costretta a tollerare).
Il film, dopo aver raccontato per filo e per segno tanti orrori e autentiche forme di barbarie, si conclude con un barlume di speranza e descrive nell’epilogo il differente trattamento che è stato riservato agli ucraini dopo l’inizio della guerra con la Russia. È questa senz’altro la parte più debole e conciliatoria di un’opera per larghissimi tratti coerente e “di ferro” quanto, a suo tempo, lo è stato il cinema di grandi registi connazionali come Jerzy Skolimowski o Andrzej Wajda. Valutazione ****


Zielona Granica (Green Border) Regia: Agnieszka Holland; sceneggiatura: Maciej Pisuk, Gabriela Łazarkiewicz-Sieczko, Agnieszka Holland; fotografia: Tomasz Naumiuk; montaggio: Pavel Hrdlička; musica: Frédéric Vercheval; scenografia: Katarzyna Jędrzejczyk; interpreti: Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Tomasz Włosok, Behi Djanati Atai, Mohamad Al Rashi, Dalia Naous; produzione: Metro Films (Marcin Wierzchosławski), Astute Films (Fred Bernstein), Metro Lato (Agnieszka Holland), Blick Productions (Maria Blicharska-Lacroix, Damien McDonald), Marlene Film Production (Šárka Cimbalová), Beluga Tree (Diana Elbaum, David Ragonig), dFlights (Dominika Kulczyk), Downey Ink. (Mike Downey); origine: Polonia/ Francia/ Repubblica Ceca/ Belgio, 2023; durata: 152 minuti; distribuzione: Movie Inspired.

 

 

 

 

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