Il Colibrì di Francesca Archibugi

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Nel 2019, in una serata milanese, davanti al pubblico della Feltrinelli di Piazza Duomo, Marco Missiroli interrogava Sandro Veronesi sul suo ultimo lavoro. Il titolo era Il Colibrì, qualche mese più tardi avrebbe vinto il Premio Strega. Missiroli accusò prima Veronesi di essere il miglior scrittore italiano vivente, e poi gli chiese di parlare del libro: per evitare spoiler, o per indole personale, Veronesi spiegò soltanto che Il Colibrì era la storia di un uomo, Marco Carrera, che a un certo punto della vita, tra capo e collo, riceve una benna. In termini tecnici, la benna è quella mano di ferro o pala che si trova al termine di una ruspa, insomma, utilizzata per sollevare pesi. E per davvero, nella narrazione, una benna finisce sulla testa di un personaggio (secondario). In termini veronensi, e forse pure toscani, la benna è un grosso guaio, un guaio improvviso che ti può capitare. E a Marco Carrera le benne succedono, una due tre o forse quattro, ma lui, il nostro colibrì, le supera tutte nel modo meno eclatante e più efficace (per la sua persona) possibile:

Tu sei un colibrì, perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo.

Francesca Archibugi eredita il libro e lo mette su pellicola rimanendo fedele al tono dello scrittore fiorentino: leggerezza a svolazzare su dolori intimi, passati e mai risolti, sempre presenti e sino alla fine sopportati. Archibugi fa il suo, confeziona tecnicamente un film che non annoia e piace, però soffre di nostalgia letteraria a scapito dell’anima filmica: azzeccata certo la briosità tiepida di Veronesi, manca di imprimere efficacemente sulla pellicola la tavolozza di personaggi, relazioni e sentimenti che la scrittura offriva e che la pellicola doveva fare sua, però in altro e diverso modo. Per distinguersi, per essere opera a sé stante.

Marco Carrera (Pierfrancesco Favino) è marito di una moglie (Kasia Smutniak) che vuole ucciderlo, così gli confessa d’improvviso lo psicanalista della coniuge (Nanni Moretti). Marco Carrera è padre di una bambina, Adele (Benedetta Porcaroli) che immagina di avere un filo attaccato alla schiena e legato al muro e quando una persona le cammina dietro, lei deve fare il giro per sbrogliarsi. Marco Carrera è fratello di Giacomo e di Irene (Fotinì Peluso), il primo auto-esiliatosi in USA per trent’anni dopo che la loro sorella si è lanciata nelle acque della loro casa vacanze e nel mare ci è rimasta sino ad affogarsi. Marco Carrera è anche il figlio di due genitori morti di cancro a poca distanza l’uno dall’altro, quando per una vita si erano detestati. Entrambi architetti, anzi, lei architetta sognatrice, lui ingegnere con la passione per i modellini.

Non è ancora finita. Marco Carrera è inoltre amico dell’Innominabile (Massimo Ceccherini) e con l’amico giocava da azzardo in gioventù perché Duccio porta sfortuna a chiunque tranne che a lui, Marco, perché lui semplicemente non ci crede. Marco Carrera è nonno di Miraijin, bambina dai tratti orientali e i capelli riccioluti, colei che sarà, un giorno, l’ “Uomo del futuro”. Marco Carrera è infine, last but non least, anzi, un ragazzo che una notte dei suoi ventidue anni si apparta sulla spiaggia con quello che sarà l’amore della vita, Luisa Lattes (Bérénice Bejo), senza però fare l’amore né allora né mai, creando così la relazione perfetta:

Sei il paragone di tutte le relazioni che ho avuto. Ma visto che la nostra non c’è, vince sempre.

Marco Carrera è tutte queste cose, e lo è contemporaneamente perché la regista Francesca Archibugi utilizza quello che era lo schema del libro: un efficace montaggio di ricordi a ricostruire la varie benne di Carrera, avendo così la possibilità di creare un intreccio nel quale ogni singolo passaggio è fondamentale per comprendere non solo quello successivo ma quello lontano nel tempo, futuro o passato che sia. E, soprattutto, per raccontare lui, il Colibrì, che ha la grandissima caratteristica di essere un uomo normale. Non senza lode né infamia, ma con la giusta dose di lode e infamia. Un uomo a cui Favino dà corpo con efficacia, nei limiti del personaggio.

Favino è infatti efficace perché va di sottrazione, capisce che è nel non agire, e non nel comportamento, che siede il baricentro del suo personaggio. Brava anche Smutniak. Rimane invece incerto il giudizio su Nanni Moretti che sicuramente trova un ruolo che gli è adatto, però continua a rimanere in quel limbo attoriale nel quale prima del personaggio vedi l’Autarchico. La scelta di Massimo Ceccherini, invece, pare meno azzeccata: la sua comicità danneggia seriamente la climax della storia proprio quando il pathos dovrebbe sostenere il tutto, e così danneggia anche uno splendido personaggio che cade da Pirandello alla comicità spiccia.

Pellicola scelta per aprire il Festival del Cinema di Roma, Il colibrì è quindi un film che cammina sulle sue gambe, però non va oltre e paga un debito alla carta stampata. Archibugi e gli co-sceneggiatori Francesco Piccolo e Laura Paolucci anticipano con accortezza o meno alcune scene, pongono come fulcro un momento che è giustamente ricorsivo perché importante, però bruciato forse troppo presto. Il montaggio è buono, fluido, come la sceneggiatura che mantiene una scrittura frizzante.

Insomma, c’è tecnica e c’è esperienza, rimane tuttavia una pecca climatica sul finale – nonostante la buona sovrapposizione tra eventi – e l’idea che benché il prodotto sia piacevole, alla fine nulla rimanga nelle mani dello spettatore. Il colibrì, e tutta la gravità del suo rimanere sempre fermo, vola via e resta il rammarico di un’occasione o mai pronta per il cinema o forse sprecata.

P.S.: era davvero necessaria la canzone di Mengoni durante titoli di coda?

In sala dal 14 ottobre


Il colibrìregia: Francesca Archibugi; sceneggiatura: Francesca Archibugi, Laura Paolucci, Francesco Piccolo; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Esmeralda Calabria; musica: Battista Lena; interpreti: Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante, Sergio Albelli, Alessandro Tedeschi, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Fotinì Peluso, Francesco Centorame, Pietro Ragusa, Valeria Cavalli, Nanni Moretti, Francesca De Martini; produzione: Fandango con Rai Cinema, Les Films des Tournelles, Orange Studio; origine: Italia, 2022; durata: 126’; distribuzione: 01 Distribution.

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