Il dato più eclatante di questo inizio della 18° edizione della Festa del Cinema di Roma è stato la sua aderenza con la realtà che ci circonda, col mondo che brucia attorno. Ha iniziato il debutto di Paola Cortellesi, con C’è ancora domani, film ambientato nel 1946 che però parla dell’endemica piaga del patriarcato. Ci ha poi pensato Francesca Archibugi a ricordarci l’ “eterno fascismo” con la prima puntata della serie-tv tratta da La Storia di Elsa Morante. Nel mezzo (ideale) c’è stato Mur, il documentario diretto da Kasia Smutniak, a fare corto circuito con l’attualità della cronaca politica.
Presentato in anteprima mondiale allo scorso Toronto Film Festival, il debutto da regista dell’attrice polacca è arrivato a pochissimi giorni dalle elezioni che hanno sancito la vittoria della coalizione europeista di Donald Tusk e la conseguente sconfitta del governo di estrema destra guidato da Jaroslaw Kaczynski. A cui si deve la costruzione del muro più costoso d’Europa che da il titolo al film, lungo 186 chilometri e alto cinque metri e mezzo; una recinsione di filo spinato e acciaio impenetrabile che corre lungo il confine con la Bielorussia; e che filtra mefistofelicamente migranti di serie A e di serie B, da un lato i profughi ucraini che fuggono dagli orrori della guerra dall’altro i richiedenti asilo siriani che sono inseguiti, respinti, braccati, umiliati e offesi. Su questo obbrobrio della storia avevamo già visto a Venezia il potente film di Agnieszka Holland Zielona granica (Green Border), giustamente premiato al Lido con il Premio speciale della Giuria.
Kasia Smutniak si muove verso questa frontiera martoriata armata solo di un copione basico, un’attrezzatura tecnica essenziale e una buona dose di coraggio. Rinuncia agli agi della sua vita romana, che riverberano solo grazie a una videochiamata in cui interloquisce con la figlia Sophie Taricone, avuta dal povero Pietro, e con l’attuale marito, Domenico Procacci, anche produttore del film. Lei, ex modella e attrice affermata del cinema occidentale, si spoglia dell’aura da star privilegiata e veste i panni della regista militante. Compiendo così una scelta per nulla scontata.
Grazie a uno stile scarno ed essenziale, talvolta affidato alle riprese di semplici smartphone, la neo-regista si mette sulle tracce degli attivisti di frontiera, spingendosi temerariamente in quella “zona rossa” teoricamente inviolabile. E dove non riesce ad arrivare con anfibi e droni, lo fa ricorrendo a alla sua passione per il volo che le fece ancora giovanissima conseguire un brevetto da pilota. Col sorriso con cui ha per anni bucato piccoli e grandi schermi (con titoli come Allacciate le cinture, Perfetti sconosciuti, Loro o Il colibrì) e con la sua innata affabile cortesia Kasia intercetta anche i “cattivi” della storia, i militari costretti a presidiare insensatamente il bosco di Puszcza Białowieża, col solo scopo di ribadire che sull’orbe terracqueo non siamo tutti uguali. Che questo spicchio di mondo guadagnato al benessere e alla prosperità è beneficio di pochi.
Ma il turning point più rilevante della vicenda che ne svela il senso ultimo, si rinviene nella seconda parte di questo intenso e scabro docu-film, quando la regista e la sua soggettista\cameraman, Marella Bombini, raggiungono la casa dei nonni di Kasia, dove la regista giocava da bambina, a due passi da un altro famigerato muro, quello del cimitero ebraico del ghetto di Litzmannstadt. Appare chiaro così il significato dell’operazione: l’erezione di steccati tra esseri umani – pare dirci la neo-regista – può condurci di nuovo a sprofondare negli abissi del male assoluto. Un continente che si definisce democratico non innalza muri.
Se il messaggio politico è forte e chiaro, lo stile di Mur è invece lieve e appena sussurrato, mai violento. Una cifra gentile, come il carattere della regista, che parrebbe voler rinunciare programmaticamente a sommare alla violenza della geopolitica quella del racconto cinematografico. Le cose più atroci sembra quasi racchiuderle tra parentesi, spingendole in un immaginario fuori-campo. Come la scena agghiacciante in cui un gruppo di richiedenti asilo, prostrati da un viaggio penoso e da una condizione di palese cattività, dichiara sotto il ricatto della violenza la propria condizione di coartata subalternità.
Ce lo mostra tramite il videomessaggio di un attivista, Kasia, uno dei tanti che le giungono sullo smartphone in tempo reale. Quando invece ha il sospetto che un altro video potrebbe essere eccessivamente disturbante, decide che no, lei non lo vede, e nemmeno noi perché non ce lo mostra. La violenza si può dunque censurare, per obliterarla, dopo averla però denunciata.
In sala dal 20 ottobre 2023
CREDITS & CAST
Mur – Regia: Kasia Smutniak; sceneggiatura: Kasia Smutniak e Marella Bombini; fotografia: Marella Bombini; montaggio: Ilaria Fraioli; produzione: Fandango in associazione con Luce Cinecittà; origine: Italia, 2023; durata: 110 minuti; distribuzione: Luce Cinecittà